Quando “Dovi” e Petrucci correvano con le minimoto 

I due piloti della Ducati. Non si sentono supereroi: «Noi siamo persone normali, non ci siamo   dimenticati di quando andavamo a correre e non avevamo nemmeno i soldi per tornare a casa»


Paolo Trentini


Trento. Fenomeni sì, ma senza dimenticare il proprio passato e le difficoltà. Alla faccia dello star system, Danilo Petrucci e Andrea Dovizioso nella prima serata del Festival dello sport hanno mostrato soprattutto il loro lato umano. All’Auditorium Santa Chiara, gremito e molto caldo, e in una terra non proprio votata alle due ruote come il Trentino, è quasi una sorpresa, il giornalista Paolo Ianieri e Barbara Pedrotti hanno incalzato due piloti della Ducati, accompagnati dall’amministratore delegato Claudio Domenicali. Ne è uscito un happening, con alcune gag improvvisate davvero gustose, ma nei momenti seri i due piloti hanno raccontato la loro esperienza, partendo dalla difficoltà di essere italiani e gareggiare con una moto italiana. Come accade per la Ferrari, anche in Ducati l'atmosfera è molto diversa.

Le parole del “Dovi”

«In Ducati è diverso – ha confermato il “Dovi” - c’è un tifo e una passione che non trovi in altre marche. Allo stesso modo c’è molta pressione ma è una pressione positiva perché ti spinge ad andare oltre i tuoi limiti e se si ottengono risultati, come in questo ultimo anno, il calore e l’entusiasmo attorno è pazzesco. Il lato negativo è che a volte la gente ha la memoria corta: anni fa prendevamo tantissimi secondi e oggi arrivare secondi in campionato pare un disastro. Le ultime due stagioni sono state esagerate, siamo arrivati a giocarcela con Marquez. Lui è di un altro pianeta, non solo ha un enorme talento ma lavora per continuare a migliorarsi. E ci riesce!».

E quelle di Petrucci

«Correre per la Ducati è particolare – ha fatto eco Petrucci – perché si corre per la casa di riferimento in Italia. Se fai il pilota e sei italiano è normale pensare di voler competere e per la Ducati. Vincere poi è fantastico, per tutto il primo giro di riscaldamento avevo una paura pazzesca di cascare».

I due piloti, hanno quindi spiegato la semplicità e il clima estremamente amichevole che si respira a bordo pista tra i piloti: «In realtà – ha affermato Dovizioso – è la tv che crea i supereroi e ha bisogno dei supereroi. Noi siamo persone normali e, a differenza di altri ambienti, nessuno si dimentica da dove viene. Tutti abbiamo un passato con le minimoto, anni di prove, anni vissuti da giramondo senza sapere se si hanno i soldi necessari per tornare a casa. Poi un giorno arrivi al Mondiale e ti fanno diventare un personaggio, ma tu dentro sei quello di prima e infatti certi stili di vita non ci appartengono. Appena torniamo a casa pensiamo subito ad andare a fare il motocross per gareggiare ed essere più competitivi nella prossima gara».

Origini che non si scordano: «La prima volta che ho gareggiato – ha detto Petrucci – non avrei potuto farlo, perché avevo 13 anni e prima dei 18 in pista non ti fanno gareggiare. Io avevo il papà che lavorava con Capirossi e fin da piccolo anche mia mamma accendeva la tv per guardarlo. Poi mi sono trovato catapultato nel Mondiale e ora la moto è il 5% di tutto quello che faccio. Non vado in moto nella maniera in cui vorrei farlo, mi piace è andare più lentamente e godermela».

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