Viaggio all’estremo nord, tra i calciatori falegnami e cieli disegnati dai fiordi

Tórshavn (isole faroe). I norreni, il popolo che le scoprì, le chiamarono Fær Øer, “isole delle pecore”. Effettivamente è proprio così. Scorrazzando su strade che costeggiano scarpate che finiscono...



Tórshavn (isole faroe). I norreni, il popolo che le scoprì, le chiamarono Fær Øer, “isole delle pecore”. Effettivamente è proprio così. Scorrazzando su strade che costeggiano scarpate che finiscono nell’oceano, dentro e fuori dalle gallerie, su e giù dai fiordi tra montagne che sembrano enormi tappeti verdi con le casette dal tetto d’erba che sono una costante cartolina, greggi di pecore bianche, nere e grigie che si trovano ovunque.

A informarci che alle isole Faroe ci sono 70 mila pecore, 51 mila abitanti e 33 mila veicoli registrati, era stato il giornale di bordo dell’Atlantic Airways, la compagnia di bandiera faroese.

Quassù, nell’arcipelago composto da 18 isole tra Islanda, Scozia e Norvegia, battuto dai venti e dalle nebbie, dove si possono ammirare panorami unici, impossibili da dimenticare, con scogliere a picco sul mare che diventano l’habitat ideale di oltre trecento specie di uccelli marini, sembra di vivere in una romantica fiaba senza fine. La tranquillità è il comune denominatore della popolazione.

L’ostacolo del Cio.

Le isole Faroe hanno una loro capitale, la piccola e graziosa Tórshavn, un primo ministro, Aksel Vilhelmsson Johannesen, avvocato ed ex calciatore, una loro moneta, la corona, una sigla automobilistica, un proprio dominio internet (.fo), un proprio inno. Ma a livello sportivo non sono completamente autonome. A limitare questo privilegio è il Comitato olimpico internazionale, che consente la partecipazione di un atleta faroese ai Giochi olimpici solo se questi gareggia per la Danimarca. Le associazioni calcistiche Fifa e Uefa invece sono di tutt’altro avviso, perché consentono alle isole Faroe di partecipare con una loro squadra alle qualificazioni di campionati mondiali ed europei. Stesso discorso vale per le coppe europee per club. La Len, federazione europea sport acquatici, consente la partecipazione individuale dei nuotatori faroesi, come anche il Comitato paralimpico internazionale ammette atleti e bandiera faroesi alle Paralimpiadi. Altre indipendenze sportive che hanno acquisito le isole Faroe riguardano tiro con l’arco, badminton, judo e tennistavolo.

Rapporti con la Danimarca.

Perché questa distinzione? Tutto a causa di quell’antica e sempre più sottile sovranità da parte del Regno di Danimarca. Con Copenhagen, però, oltre a esserci frequenti collegamenti aerei giornalieri, c’è poco: i feringi (altro nome per questo popolo) vogliono essere indipendenti anche perché la Danimarca è restia ad aprire i rubinetti per patrocinare lo sport nell’arcipelago. Siamo di fronte ad una questione spinosa. Dal 1948 esiste la Confederazione delle Faeroer dello Sport (Ísf), che dal 1982 ingloba anche il piccolo comitato olimpico. A supportare l’indipendenza sportiva totale sono stati i comitati olimpici di Paesi “amici”, la stessa Danimarca, la Norvegia e l’Islanda. Secondo la Carta olimpica “il comitato olimpico nazionale può essere riconosciuto se lo Stato è considerato indipendente dalla comunità internazionale”.

Seicento calciatori e calciatrici.

Per farci raccontare la situazione del calcio nelle sperdute isole in mezzo all’Atlantico abbiamo incontrato nel suo ufficio allo stadio Tórsvollur – una sorta di “Bombonera” per il calcio faroese, perché aperta solo durante le partite della nazionale – Virgar Hvidbro, segretario generale della federazione calcistica delle isole Faroe, che sul panorama internazionale si è affacciata il 24 agosto di 31 anni fa in Islanda (coi faroesi sconfitti 1 a 0 dai cugini islandesi). «In questo stadio si giocano solo le partite della nazionale, seguite da oltre il 10 per cento della popolazione. L’impianto è in fase di completamento, adesso ospita poco più di 5 mila persone, ma quando sarà ultimato arriverà a contenerne 8 mila». Guardando l’albo dei ricordi restano delle icone le vittorie sull’Austria il 12 settembre del 1990 in Svezia per 1 a 0 con rete del magazziniere di falegnameria Torkil Nielsen e quelle più recenti, del 2015, contro la Grecia all’andata al “Karaiskakis” di Atene (1-0) e al ritorno a Tórshavn (2-1).

Parlando del campionato nazionale, il Formuladeildin o Betri Deildin (top division con dieci squadre), che inizia normalmente la seconda settimana di marzo per concludersi l’ultima di ottobre, Hvidbro snocciola alcuni numeri: «Certo il calcio è lo sport nazionale, i calciatori sono circa 500, suddivisi in 18 club che con le loro seconde e terze squadre animano tutti e quattro i campionati. Devo sottolineare che il nostro movimento femminile è composto da circa cento calciatrici e che due sono le divisioni, la migliore composta da cinque team».

Il calcio come passatempo.

Qualche giocatore straniero sta arrivando, ma il calcio da queste parti è una cosa ancora di famiglia. Frodi Benjaminsen, storico capitano della Nazionale, quanto era in attività durante la settimana piallava il legno, smussava tavoli, sistemava sedie, era un falegname come altri compagni di squadra. Il calcio qui è un hobby, una passione di uomini e donne che lavorano come insegnanti, pescatori, impiegati di banca, carpentieri, camionisti, commercianti, agricoltori e studenti. Oggi metà dei giocatori della nazionale è professionista, ma all’estero, tra Norvegia, Danimarca e Islanda.

Il segretario generale plaude al cammino fatto quest’anno dalle tre squadre che erano impegnate nei preliminari della Coppa Europa. «Sono particolarmente soddisfatto che il Klaksvík abbia tenuto testa agli svizzeri del Lucerna, perdendo sia all’andata sia al ritorno solo per 1 a 0, o se penso a quanto mostrato dai campioni del B36 Tórshavn». Il funzionario parla dello sport a 360 gradi: «L’hockey non esiste, il pattinaggio si limita al periodo di Natale, per divertimento. C’è qualche società di pallacanestro, un rettilineo per praticare l’atletica sopra le tribune del Tórsvollur, mentre il canottaggio è sport nazionale ma legato a una tradizione storica».

La cultura del rispetto.

Il viaggio attraverso le interessanti “isole delle pecore” non si ferma a Tórshavn o alle sue pittoresche casette rosse di Tinganes, il quartiere delle istituzioni governative (premier compreso) dalle quali per essere accolto basta semplicemente suonare alla porta dell’ufficio, cordialità e sorriso. Lasciando la più piccola capitale del mondo – come precisano gli abitanti – ogni villaggio ha il suo campo da calcio. Spogliatoi, tribune quasi sempre con la tettoia, impianto di illuminazione, alle Faroe, terra del verde naturale, si gioca su campi sintetici. I campi sono aperti a tutti, si può giocare a qualsiasi ora del giorno, non ci sono rischi che qualcuno possa danneggiare una parte della struttura o rubare la rete delle porte. Nelle selvagge e tutt’altro che economiche isole Faroe, dove la qualità ed il costo della vita sono elevate, è solo una questione di cultura e rispetto per il prossimo.

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