L’intervista

Disagio giovanile, Aliprandini: «Le cause? Famiglie in crisi e povertà»

L’ex dirigente delle scuole superiori Gandhi di Merano oggi è giudice onorario presso la Sezione per i minorenni della Corte d’Appello: «Più centralità alla figura dello psicologo scolastico e formazione del personale»


Jimmy Milanese


MERANO. È stato recentemente nominato giudice onorario presso la Sezione per i minorenni della Corte d'appello di Trento, sezione di Bolzano. Riccardo Aliprandini, ex dirigente scolastico presso l'istituto Gandhi di Merano (licei e Ite), racconta come nel corso degli ultimi anni dal suo punto di osservazione le coordinate del disagio giovanile in città si siano evolute fino ai recenti fatti di cronaca che hanno visto alcuni ragazzi protagonisti di un taglieggiamento nei confronti di altri coetanei.

Dalla scrivania del dirigente scolastico alla Corte d'appello di Trento. Un ruolo nuovo per lei. Come sta andando?
È ancora troppo presto per poter azzardare riflessioni approfondite. Si è chiamati a prendere decisioni molto complesse che spesso comportano prognosi sul futuro di ragazzi giovanissimi. Mi hanno colpito diverse situazioni di degrado sociale, culturale ed educativo in cui versano alcune famiglie, in particolare di recente immigrazione. Centrali diventano sempre più i servizi sociali con il loro ruolo sul territorio.

Quali sono le cause profonde di una sofferenza giovanile che spesso sfocia nella devianza?
Cause di natura socio-economica, culturale e psicologica, peraltro strettamente collegate tra di loro, che possono spiegare il crescente disagio giovanile già presente da tempo ma accentuatesi in epoca pandemica e post pandemica.

Ad esempio?
La crisi della famiglia tradizionale, con le sue dinamiche, le sue relazioni, i suoi valori di riferimento, e lo sviluppo di nuovi modelli familiari non ancora consolidati. L'accentuazione delle differenze di natura economica, le nuove povertà, anche di natura culturale, la concentrazione del disagio e della microcriminalità in alcune zone delle nostre città, spesso fortemente degradate. Mi lasci dire anche la gestione non sempre ottimale dei fenomeni migratori, le difficoltà incontrate dai giovani di seconda generazione, alla costante ricerca della loro identità.

Insomma, valori che cambiano?
Che vanno in crisi, specialmente alcuni di riferimento come la solidarietà e la cooperazione, ma c'è anche la sfiducia nei confronti di alcuni storici centri di aggregazione. Di pari passo assistiamo al dilagare, spesso fuori controllo, di nuovi modelli, nuovi valori, a volte puramente distruttivi, fondati in prevalenza sull'affermazione individuale a tutti i costi, sulla trasgressione alle norme sociali, se non addirittura sulla prevaricazione e sulla violenza.

E il disagio giovanile cresce sotto i nostri occhi.
Soprattutto tra i ragazzi ancora poco attrezzati e quindi più esposti. Ed ecco, da un lato, il preoccupante aumento dei casi di ansia, depressione e ritiro sociale, disturbi alimentari o vecchie e nuove dipendenze. Dall'altro lato, c'è la necessità di immedesimarsi in un gruppo di pari, anche se si tratta di un branco, con i conseguenti fenomeni di prepotenza, bullismo e devianza.

Le istituzioni scolastiche che hanno fatto negli anni?
Di fronte a queste problematiche, non nuove ma sempre più accentuate in epoca post pandemica, la scuola, come peraltro tutte le agenzie sociali ed educative, si è trovata in prima linea. Negli anni abbiamo notato un abbassamento del livello degli apprendimenti, una crescente necessità di individualizzazione e personalizzazione della didattica. I docenti si trovano sempre più spesso ad operare in un contesto caratterizzato da una preoccupante escalation di problemi di natura disciplinare, a volte al confine con la devianza e l'illegalità.

Alla scuola si chiede di risolvere problemi sociali complessi.
Sì, c'è la questione dell'aumento della pressione sulla scuola con la continua richiesta di nuove prestazioni e soprattutto un rapporto a volte complesso e difficile con le famiglie.

Le sanzioni disciplinari sono ancora efficaci, se in certi casi il registro elettronico scolastico diventa una distesa di note. Che ne pensa?
Di fronte alla violazione delle regole fondamentali della convivenza civile, la sanzione è indispensabile, se possibile privilegiandone la funzione preventiva, riparativa e rieducativa. Resta fondamentale che le regole siano poche, chiare, se possibile condivise e, comunque, inserite in un più ampio percorso di educazione alla legalità. La risposta sanzionatoria, comprensibile e spesso necessaria, non è però sufficiente né risolutiva.

Andiamo alle possibili risposte al problema.
Centralità del ruolo dello psicologo scolastico come figura stabile, riconosciuta dall'intera comunità scolastica e di altre preziose figure interne di coordinamento. Una costante opera di formazione e aggiornamento del personale scolastico, oltre che sulle nuove frontiere della didattica e sull'uso delle tecnologie digitali, mirata sulle problematiche di natura psico-socio-sanitaria che stanno alla base del crescente disagio giovanile. Potenziamento del lavoro con le famiglie e un'adeguata circolazione delle informazioni per cercare di prevenire le manifestazioni più eclatanti del disagio, quindi mettere in atto strategie di recupero precoci.

Altrimenti?
Altrimenti non ne usciamo.













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