Distanza minima eolico, Governo impugna legge Liguria



Quotidiano Energia - Contrasta con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, in violazione l’articolo 117 della Costituzione, la norma della Regione Liguria che fissa una distanza minima degli impianti eolici dalle abitazioni. E’ la motivazione con cui il consiglio dei ministri di giovedì ha impugnato, su proposta del ministro degli Affari regionali Erika Stefani, la legge della Regione Liguria n. 15 del 7 agosto 2018 recante “Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale) e altre disposizioni di adeguamento in materia di governo del territorio”. Nel mirino del Governo, in particolare, l’articolo 23 della legge ligure, in base al quale “per gli impianti eolici deve essere rispettata per ciascun aerogeneratore una distanza minima non inferiore a 250 metri dalle unità abitative munite di abitabilità, regolarmente censite e una distanza dalle zone o ambiti nei quali sono presenti insediamenti residenziali previsti dagli strumenti urbanistici vigenti, da determinarsi da parte del Comune con deliberazione del consiglio comunale in funzione delle caratteristiche orografiche del territorio”. La disposizione, spiega il ministero degli Affari regionali, si pone in contrasto con l’art. 12, comma 10 del D.lgs 387/2003 e con il paragrafo 1.2 delle Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti Fer (DM 10 settembre 2010). In attuazione delle linee guida, infatti, le Regioni “possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti, ma come affermato dalla Corte Costituzionale, esse non possono dettare disposizioni che prevedevano un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili”. Alle Regioni è consentito soltanto di “individuare, caso per caso, ‘aree e siti non idonei’, avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti”. Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale non permette quindi che le Regioni prescrivano limiti generali, “specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea”. Il Cdm di venerdì ha deciso invece di non impugnare il provvedimento grazie a quale la Regione Piemonte è divenuta la prima in Italia a dotarsi per legge delle comunità energetiche. La legge piemontese - n. 12 del 3 agosto 2018 recante “Promozione dell’istituzione delle comunità energetiche” - prevede un primo stanziamento di 50.000 euro nel biennio 2018-2019 destinato a permettere a “comunità di persone, enti e imprese di scambiare tra loro l’energia prodotta con fonti alternative”. In base alla legge, le comunità energetiche, cui possono partecipare soggetti pubblici e privati, “acquisiscono e mantengono la qualifica di soggetti produttori di energia se annualmente la quota dell’energia prodotta destinata all’autoconsumo da parte dei membri non è inferiore al 70% del totale”. La giunta istituirà un tavolo tecnico permanente tra la Regione e le comunità energetiche, che potranno stipulare convenzioni con l’Arera al fine di ottimizzare la gestione e l’utilizzo delle reti di energia. Da segnalare infine che il Cdm ha deciso di impugnare la legge della Regione Campania n. 29 dell’8 agosto 2018 recante “Modifiche alla legge regionale 26 maggio 2016, n. 14 (Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti)”, in quanto alcune norme riguardanti la localizzazione e i controlli relativi agli impianti di gestione “ledono gli standard di tutela ambientale posti dallo Stato nell’esercizio della competenza ad esso riservata”.









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