1956-2020

Addio Paolo Rossi, mito imprendibile

La stoffa d'un campione su di un ragazzo normale. E ora ci è scappato via, inafferrabile, all'improvviso: sembra impossibile, infinito com'era


Paolo Mantovan


Ci sono persone che nascono per essere eroi. E Paolo Rossi è stato un eroe, ma «eroe-antieroe», con quel volto da ragazzino gioioso, il tono garbato, le gambette gracili che non pareva vero fossero rapide come le zampe d’un gatto. Paolo Rossi era come il suo sorriso, bello e mite, pacato e imprendibile. La stoffa d’un campione su di un ragazzo normale che troppo presto sembrava già finito, annientato dal “calcioscommesse”, un bidone su cui “el vecio”, Bearzot, s’ostinava a puntare. E invece, in quel mondiale del 1982, si destò e segnò una tripletta al Brasile, ma di quelle che capitano una sola volta nella storia, con i ballerini brasiliani che pareggiavano e lui che segnava di nuovo, e i carioca che danzando ri-pareggiavano e lui, dispettoso, che la metteva di nuovo nel sacco: sembrava non ci fosse fine, ad ogni rete del Brasile lui avrebbe segnato ancora e sempre, senza fine, il nostro bambino infinito. E poi ancora gol, capocannoniere del mondiale più bello che mai per l’Italia, con quel giovane eroe che restava modesto, nonostante tutti in tutte le lingue del mondo ci dicessero: “Italiani? Eh, paolorossi...”. Sì, ci sentivamo tutti paolorossi, icona trionfale di quei dolci anni Ottanta. Paolo Rossi è stato l’immagine perfetta di chi cade e si rialza, volto radioso di chi crede nelle favole, incarnazione sportiva della furbizia, orgoglio di tutti gli italiani che sognavano di essere come lui perché sembrava possibile essere come lui, goleador sorridente. Sì, così mingherlino, era il dio di chi è normale: pareva facile buttarlo giù e invece ti scappava sempre. E quell’immagine è rimasta identica ieri, nell’ora della morte. In quest’anno in cui muoiono le leggende. Lui ci è scappato via, imprendibile, all’improvviso: sembra impossibile, infinito com’era, bambino per sempre.













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