L'intervista

Di Pierro: «La sfida? Educare all’affettività nell’epoca degli smartphone» 

Lotta alle discriminazioni, parla l'avvocata: «È un percorso lungo che deve iniziare a scuola. Solo così dalle profonde ferite usciranno farfalle libere. Si può fare invece ancora di più per la tutela immediata delle vittime» 


Massimiliano Bona


BRONZOLO. “Ci sono donne”: così si intitolava l'evento organizzato dal comune di Bronzolo sul tema della violenza di genere, ispirato all'omonima poesia di Alda Merini, la poetessa dei Navigli divenuta l'emblema della resilienza femminile. Al dibattito che ne è seguito hanno partecipato i politici locali (tra cui la sindaca Giorgia Mongillo e l’assessora Sabrina Adami), le forze dell'ordine e alcune esperte tra le quali Maria Lucia Di Pierro, avvocato matrimonialista nel quadro di una più ampia riflessione su potenzialità e limiti applicativi del cosiddetto “codice rosso”.

Avvocata, cosa è cambiato in concreto con l’introduzione del Codice rosso?

Di sicuro il Codice rosso ha garantito provvedimenti più rapidi, sia nei confronti delle vittime di violenza che degli autori, avendo aumentato efficacia e tempestività dell’azione degli organi di polizia giudiziaria. Ciò, almeno in linea teorica, dovrebbe tradursi in un incentivo alle donne a denunciare, magari dopo anni di silenzio, le violenze subite e perpetrate spesso per anni tra le mura domestiche.

Si può fare di più?

Tanto è stato fatto, ma ci sono margini di miglioramento soprattutto sul fronte della tutela immediata delle vittime. Servono riforme sinergiche del processo civile e penale, che eliminino distorsioni - quali la “vittimizzazione secondaria” e il rischio di decisioni sommarie e stereotipate - e le inefficienze del sistema attraverso norme chiare e coerenti, rafforzando la deterrenza contro i reati di genere attraverso pene certe e l'inibizione dell’accesso a riti premiali (rito abbreviato e patteggiamento) in caso di particolare offensività delle modalità della condotta criminosa, evitando carature buoniste.

Avvocata, cosa rientra nella nozione di “violenza domestica e di genere”?

I maltrattamenti all’interno delle mura domestiche, la violenza sessuale, aggravata e di gruppo, gli atti sessuali con un minorenne, gli atti persecutori e i neo introdotti reati di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il revenge porn) e la deformazione dell’aspetto della persona con lesioni permanenti al viso.

Per chi denuncia la tutela legale è gratuita. Qual è il senso di questa scelta?

È vero, va rimarcata la possibilità per le persone offese dai reati di maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, prostituzione e pornografia minorile, di ricorrere al gratuito patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dai limiti di reddito. L’obiettivo è incoraggiare la donna a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità.

Per denunciare esiste anche una App della Polizia di Stato che garantisce l’anonimato. Come funziona?

Sì, parliamo della App per smartphone Youpol, realizzata dalla Polizia di Stato per segnalare episodi di spaccio, bullismo e maltrattamenti tra le mura domestiche. L'estensione a quest'ultimo tipo di reati è un ulteriore passo in avanti per contenere alcuni fenomeni che in questo periodo di emergenza Covid potrebbero avere un incremento a causa della forzata permanenza in casa. In questo modo si possono trasmettere in tempo reale, anche in modalità anonima, messaggi e immagini agli operatori della Polizia di Stato; le segnalazioni sono automaticamente georeferenziate.

Bisogna fare di più anche sul tema organici e formazione?

Sì, certo. Servono azioni trasversali, quali l'implementazione delle dotazioni organiche di magistrati e delle forze dell'ordine, una formazione specifica per gli operatori di settore, il consolidamento della rete territoriale dei centri antiviolenza e di assistenza alle vittime, l’eliminazione delle disparità economiche e la definizione di tempi rapidi delle azioni del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne.

C’è chi sostiene che si tratti soprattutto di una questione culturale. Condivide?

La vera sfida, oltre che sul fronte legislativo, si gioca sul fronte culturale, perchè quella della violenza di genere non è solo un'emergenza, ma anche un problema culturale, che nasce da pregiudizi inveterati e retaggi culturali sedimentati nel tempo.

Si può o si deve coinvolgere la scuola in questo processo?

Vanno coinvolti sempre più centri culturali, ma soprattutto la scuola, di ogni ordine e grado, attraverso l'introduzione dell'educazione all'affettività (il progetto di legge 3100 del 7 maggio 2021 a firma dell’onorevole Stefania Ascari), quale primo passo per il superamento degli stereotipi di genere e per la promozione di una cultura del rispetto che valorizzi le differenze come ricchezza».

E se dovessimo riuscire davvero a fare tutto ciò che serve cosa potrebbe accadere, in concreto?

Solo così, citando sempre Alda Merini, “da queste profonde ferite usciranno farfalle libere”.













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