L'intervista

Il primario volante: «Resto nei turni per fare squadra» 

Mark Kaufmann: «Ho mille voli alle spalle e sono stato a capo del Christophorus in Austria.. A 17 anni facevo già il soccorritore e ho scelto la mia strada. La montagna? Più gente in quota e più rischi»


Massimiliano Bona


NOVA LEVANTE. Marc Kaufmann, 48 anni, vive il suo ruolo di primario (pacato ma determinato) - a capo del Servizio provinciale di urgenza ed emergenza medica - in modo assolutamente operativo. «L’ultimo volo in elicottero? L’ho fatto qualche giorno fa a Lasa col Pelikan 3 ma una volta al mese sono in turno anche a Bressanone e Bolzano. Lo considero il modo migliore per restare in contatto con pazienti e soccorritori e avere il polso della situazione».

Quanti voli ha all’attivo?

Ho superato quota mille. Alla clinica universitaria di Innsbruck sono stato a lungo responsabile del Christophorus 1. Ma prima avevo fatto qualche uscita con l’Aiut Alpin.

In Austria lei ha fatto molto altro...

Ero in prima linea anche per quanto attiene cardioanestesia e anestesia dei trapianti. Professionalmente avevo già alle spalle quasi tutte le sfide importanti e Bolzano proprio in quel periodo ha indetto il concorso per il primariato a lungo occupato da Brandstätter. La richiesta era per l’emergenza extraospedaliera e ho deciso di provarci. Oggi a Bolzano i medici impegnati nell’emergenza sono 50 mentre in provincia sono 150 distribuiti in 7 ospedali.

Quanti voli si fanno in Alto Adige in un anno?

Quattromila, se parliamo del periodo pre-Covid.

Quanto ci vuole mediamente per un intervento con l’elisoccorso?

Quindici minuti che per una zona alpina rappresentano una performance di alto livello.

Quando ha deciso di fare l’anestesita-rianimatore?

Presto direi. A 17 anni facevo parte del Bergrettung del mio paese, Nova Levante, e ho capito quale sarebbe stata la mia strada.

Lei ha salvato tante vite. Ricorda i nomi o i volti dei suoi pazienti?

In realtà faccio fatica ma penso sia anche una sorta di meccanismo di autodifesa. Certo, da quando sono padre mi rimangono più impressi gli interventi in cui sono coinvolti giovani con l’età dei miei figli. Ho due ragazze di 12 e 15 anni che sono rimaste a Innsbruck con mia moglie per completare gli studi.

Durante il Covid faceva avanti e indietro? Le è pesato?

Per un paio di mesi siamo stati tutti nella casa dei miei genitori a Nova Levante ma uscivo presto - come tutti i miei colleghi – e tornavo tardi, quando erano già a letto. Poi è andata decisamente meglio.

Nella prima ondata della pandemia nel mondo tedesco lei era per molti il «Doktor Covid». Perché?

Forse per il fatto di aver accettato subito di gestire l’emergenza. Assieme a colleghi davvero instancabili ho creato una rete tra sette ospedali per affrontare questa sfida logistica e medica.

In gioventù lei ha fatto anche il bagnino e suonato la chitarra elettrica. Riesce ancora a coltivare quelle passioni?

Quando facevo il bagnino ero anche al meglio della condizione fisica (sorride ndr). Adesso basta una salita con le pelli di foca con mille metri di dislivello per accusare la fatica. Mi piace ancora il rock ma la chitarra elettrica è chiusa nell’armadio da tempo.

Le è mancata la montagna?

Sì, molto. E con essa l’allenamento. Adesso sto ritrovando lentamente anche un pizzico di regolarità.

Oggi c’è più consapevolezza tra chi va in quota? O si rischia ancora più del dovuto?

Rispetto al passato è cambiato anche l’approccio. C’è molta più gente, anche ad altezze importanti. C’è chi parte anche tardi e con meno tempo a disposizione si rischia un po’ di più.













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