3.500 Schützen in corteo: via l’Alpino

Cappelli piumati scortati da 600 agenti e applauditi dalla gente a lato della strada. L’Svp non sfila ma presenzia ai discorsi ufficiali in piazza con l’ex dinamitardo Andergassen. Rispettata alla lettera l’ordinanza del questore Bacher: eliminiamo quel nano da giardino che ci offende



BRUNICO. L’«altro» 25 aprile lo celebrano a Brunico 3.500 Schützen. «Nel giorno in cui l’Italia ricorda la liberazione dal fascismo, ci vietano di marciare contro i simboli fascisti», dicono i cappelli piumati scortati da 600 agenti che blindano la città pusterese per una giornata intera. Accanto al comandante Paul Bacher sfila la destra tedesca - Leitner, Pöder, Klotz e Sepp Mitterhofer in prima fila -, in piazza si aggiunge l’Svp con in testa la numero 2 del partito Martha Stocker. Sul palco sale anche Günther Andergassen, condannato per gli attentati dinamitardi degli anni Sessanta. Rispettata alla lettera l’ordinanza del questore. Brunico inizia a riempirsi di prima mattina. Arrivano per prime le forze dell’ordine, 600 agenti in tutto: la celere da Padova, i carabinieri da Gorizia, ottanta finanzieri, oltre a polizia e carabinieri locali. Nel primo pomeriggio ecco i primi Schützen. Nel piazzale della zona sportiva trovano spazio una ventina di pullman, centinaia di altri cappelli piumati vengono con le loro auto private.

Alle 18.45 in punto, come da programma, si mettono in marcia. Sono una marea, «più di tremila, probabilmente 3.500» dice il comandante della compagnia pusterese dei cappelli piumati e organizzatore della sfilata, Heinrich Seyr. Rispetto alla manifestazione dell’8 novembre di Bolzano non ci sono le fiaccole, perché non è ancora buio, ma ci sono i tamburi e soprattutto tanti striscioni. In testa, proprio dietro lo stato maggiore degli Schützen e prima della delegazione dei politici (i Freiheitlichen con Leitner, Mair e Stocker, la Südtiroler Freiheit con Klotz, Knoll e Sepp Mitterhofer, l’Union con Andreas Pöder), c’è uno striscione rivolto al questore: «Niente manifestazione davanti all’alpino: coscienza sporca?». Poi gli ormai classici “Ein Tirol” e “Südtirol ist nicht Italien”, qualche slogan più aggressivo come “Resistenza fino a quando cadrà l’ultimo fascio” e molti altri realizzati per l’occasione, da “Il monumento all’Alpino è una vergogna” a “Festa della liberazione? L’Alto Adige sta ancora aspettando”. Gli Schützen sfilano in silenzio, ma tra due ali di folla.

All’inizio gli applausi sono pochi, poi diventano sempre di più man mano che il corteo si avvicina a piazza del Municipio. Christian Tschurtschenthaler, sindaco di Brunico, segue il corteo da vicino, ma non sfila: «Partecipo già alla discussione», dice. È furioso perché la questura ha dato il permesso a Donato Seppi di mettere un mazzo di fiori davanti al monumento all’Alpino, vietando invece lo stesso spazio agli Schützen.

Con lui c’è tutta l’Svp, a partire da Martha Stocker, accompagnata dai responsabili della Volkspareti per la Pusteria Albert Wurzer e di Brunico Dieter Schramm. La numero due del partito attende l’arrivo degli Schützen in piazza: «Sfilare circondata da tutta quella polizia sarebbe stato troppo per me, mi avrebbe fatto tornare indietro agli anni Sessanta: ma qui in piazza ho voluto esserci, perché si tratta di una manifestazione contro il fascismo e contro il nazionalsocialismo. Peccato solo per la provocazione del questore, permettere a Seppi quel che è stato negato agli Schützen è un fatto grave».

Nel frattempo la piazza si riempie. C’è una bandiera italiana (la sventola Marino Negri, profugo di Fiume, classe 1945 e cappello di alpino in testa) e c’è anche una bandiera della Pace messa lì dai Verdi. Accanto al corteo si nota un lungo striscione piazzato dalle Penne Nere: «I nostri Alpini sono in Abruzzo», recita.

I discorsi iniziano alle 19.15 con le parole di Seyr che attacca il questore per i divieti imposti: «È un modo di fare dittatoriale, una repressione militare». Si chiede «perché oggi che l’Italia celebra la liberazione dal fascismo ci vieta di protestare contro i suoi simboli», ricorda a tutti che «se non ci difenderemo rischiamo l’assimilazione». Poi tocca a Elmar Thaler che legge un messaggio del principe dell’Abissinia («grazie di combattere i simboli fascisti»), ordina ai suoi uomini di di rispettare l’ordinanza della questura, sbotta affermando che «mentre il questore spreca i soldi di noi contribuenti mandando qui 600 agenti senza un valido motivo, noi raccogliamo i soldi per l’Abissinia, una ex colonia italiana dove la gente oggi muore di fame». Il comandante Paul Bacher chiede che i monumenti fascisti vengano eliminati («a partire da quel nano da giardino», dice riferito all’Alpino) sottolinea che «anche se Frattini non lo sa, l’Alto Adige ha diritto all’autodeterminazione». Poi parla Günther Andergassen, condannato a 30 anni per gli attentati bombaroli degli anni ‘60 e graziato da Saragat dopo 7 anni di carcere, che ricorda la storia sua e dell’Alto Adige nell’immediato Dopoguerra.

Alle 19.58 riprende la parola Elmar Thaler: «Abbiamo dato la nostra parola e la manteniamo». E così alle 20 in punto partono le note dell’inno hoferiano, poi gli Schützen lasciano la piazza. Si chiude senza incidenti, ma le ferite aperte restano.













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