SANITA'

4 mila altoatesini si curano fuori provincia

Spesi 16 milioni nel 2008. I primari: "Qualità sotto gli standard minimi"



BOLZANO. La sanità altoatesina deve garantire i livelli di qualità, cioè di sicurezza, fissati dalla comunità scientifica internazionale. L’assessorato alla Sanità e il direttore della Asl unica Andreas Fabi ormai lo hanno detto senza perifrasi. La bozza di riforma sanitaria, che approderà venerdì alla Commissione per il riordino clinico, ha di fronte a sé due obiettivi. Frenare l’aumento della spesa e rispettare-aumentare gli standard di qualità.
 Il primo e il secondo obiettivo rischiano di spaccare il mondo medico (ospedaliero e del territorio), tra chi vedrà valorizzato il proprio lavoro e chi teme di essere penalizzato.
 Parlare di livelli di qualità nella sanità significa entrare nel territorio più delicato che ci sia. La novità è che perfino Fabi si espone a dire: «Dobbiamo capire come ridistribuire il lavoro nei sette ospedali e puntare alla qualità delle prestazioni, perché non possiamo permetterci di scendere sotto un certo livello, sia per rispettare gli standard internazionali che per garantire la sicurezza alla popolazione». Il rischio, aggiungono i vertici della sanità altoatesina, è che cresca ulteriomente la mobilità già alta di pazienti altoatesini verso ospedali di altre regioni. Il dato del 2008 è di 4208 ricoveri in ospedali al di fuori dell’Alto Adige con una spesa di 16,334 milioni di euro che la Provincia rimborsa alle altre regioni italiane.
 Un esperto in materia è Walter Pitscheider (primario di Cardiologia), presidente della Commissione per il riordino clinico. Sei anni fa, da presidente dei primari, con voce isolata affermò che le strutture che non rispettano gli standard minimi fanno una «medicina pericolosa».
 All’epoca le sue parole provocarono un putiferio. Ora i vertici della Asl arrivano lì. Il punto è ragionare di questo tema senza provocare paure infondate.
 Vale la pena tornarne a parlare con Pitscheider, in vista della riunione di venerdì.
 «Lo spirito della riforma sanitaria è decidere quali prestazioni dovranno essere effettuate ospedale per ospedale, reparto per reparto. Cosa verrà garantito in Alto Adige, per cosa sarà necessario rivolgersi ad ospedali di altre regioni, in Italia e all’estero», spiega.
 Il principio è rigoroso: «Le società scientifiche internazionali fissano i parametri che devono essere rispettati: quanti interventi o prestazioni devono essere effettuati all’anno perché siano rispettati i criteri di qualità. Il conteggio vale non solo per i reparti, ma per ogni singolo medico, infermiere, operatore». E questo, prosegue Pitscheider, «perché una sanità di qualità, è quella in cui ogni operatore ha la formazione sufficiente per affrontare il tipo di intervento che gli viene richiesto. E la preparazione viene garantita se quell’intervento lo affronta ogni anno un numero minimo di volte. Questi parametri sono fissati dalla comunità scientifica». Pitscheider fa un esempio: «In Alto Adige non potrebbe mai essere realizzata una cardiochirurgia pediatrica, perché ci sono al massimo 40 casi all’anno. Lasciando da parte i costi non sostenibili, per restare alla qualità il punto è che con solo 40 interventi all’anno non potresti avere una équipe con il livello professionale richiesto». La questione non è se quei medici e infermieri hanno avuto una formazione di altissimo livello, «ma la pratica quotidiana necessaria per conservare e aumentare la propria abilità professionale». Altro esempio, la cardiochirurgia: deve avere un bacino di utenza di un milione di persone. Ecco perché è scontato e sensato, spiega il direttore della ripartizione Sanità Albert Tschager, che un altoatesino per alcune patologie venga curato in centri extraregionali.
 «Vogliamo fare bene le cose che possiamo fare», spiega Tschager, «Non partiamo da zero, già oggi abbiamo una suddivisione di compiti tra gli ospedali». La bozza di riforma mette in stato di allerta. Tschager chiarisce: «La riorganizzazione deve essere decisa dai sanitari, non dalla politica, perché si baserà su criteri scientifici. Devono discuterne tutti, non solo i primari».













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