Solidarietà

A Lampedusa i medici altoatesini per aiutare chi è sopravvissuto 

Toni Pizzecco e Manfred Brandstätter si stanno occupando del centro medico dell’hotspot dell’isola: «I migranti arrivano con tubercolosi e malattie tropicali: qui il Covid è il problema minore. Ci raccontano storie e speranze»


Sara Martinello


BOLZANO. «In Italia, in Europa sembra esserci solo il Covid. Qui a Lampedusa il Covid è il problema minore». Toni Pizzecco e Manfred Brandstätter sono due autorità nel campo della medicina d’urgenza e del volontariato. Fino a domenica resteranno a Lampedusa, a curare i migranti nell’hotspot che fa da primo porto di accesso all’Europa.

Pizzecco è presidente dell’associazione Medici dell’Alto Adige per il mondo, Brandstätter è l’ex primario del 118. La pediatra bolzanina Lucia Pappalardo era già andata sull’isola lo scorso ottobre. Parliamo di medici abituati a viaggiare nei paesi del Quarto mondo per curare, costruire, dare strumenti a popolazioni che non hanno niente. «Per queste due settimane c’era richiesta di medici, così ci siamo resi disponibili», spiegano al telefono durante la pausa pranzo. Insieme, in due, si occupano del centro medico dell’hotspot. L’isola dispone solo di un poliambulatorio, il centro medico è un primo filtro. Se necessario, i pazienti vengono mandati sulla terraferma.

Le immagini descritte da Brandstätter e Pizzecco dicono tutto. «Il giorno che siamo arrivati, circa una settimana fa, sono arrivate anche tre barche. Una trasportava più di 250 bengalesi. Sette di loro erano morti assiderati nel passaggio tra la Libia e Lampedusa. Arrivano bengalesi, marocchini, somali, persone dal Benin o dal Chad... Finora non l’avevamo conosciuto così, questo corridoio. È gente prostrata e distrutta. Anche psicologicamente, perché hanno visto la morte. Viaggiano accovacciati nell’acqua di mare, si ritrovano a berla, hanno ustioni per via del contatto tra la pelle bruciata dal sale e i motori delle barche. Tubercolosi, malattie tropicali.

Ci raccontano dei lager libici, hanno gli ematomi delle botte e i segni delle ustioni. Ieri (martedì, ndr) abbiamo visto una 19enne incinta del terzo figlio: i primi due erano rimasti a casa con la suocera. Queste persone vivono nel dolore. L’ultimo sbarco è stato quello di un battello basco che è stato fatto attraccare solo perché si stava avvicinando la bufera: 170 persone, di cui 48 minori. Per la maggior parte si tratta di ragazzi fra i 15 e i 30 anni, massimo 45. Alcuni tentano la traversata quattro, cinque volte. Abbiamo conosciuto anche un uomo che era tornato in Marocco per assistere il padre malato, ma per tornare l’unica soluzione era il barcone».

Scappare dalla miseria, pagare fra i 5 e i 10 mila dollari per raggiungere la terra promessa dove ognuno avrà «una casa e un computer». Illusioni della Tv satellitare. Se il viaggio non uccide, ad aspettare i migranti ci sarà lo sfruttamento nei campi e sulle strade. Brandstätter ha chiesto a un ghanese quali aspettative avesse. «Vorrebbe fare il car driver, l’autista, come al suo paese. Chissà se ce la farà, un giorno, chissà cosa lo aspetta».

Nell’hotspot i migranti restano dai due ai sette giorni, a meno che la polizia non li trattenga per qualche motivo. Viene assegnato loro un numero di identificazione, dopodiché vengono portati via con una nave quarantena o con una nave di linea, verso i centri d’accoglienza.

Pizzecco prosegue: «L’hotspot può ospitare fino a 800 persone. È pensato per adattarsi velocemente alle esigenze del momento, con un grande lavoro di polizia di Stato, esercito, carabinieri e Guardia di Finanza». «Ci sono almeno otto interpreti – aggiunge Brandstätter – e mediatori culturali che svolgono un lavoro preziosissimo, ci aiutano a capire i pazienti».

Se non fosse per gli operatori che danno lavoro ad alberghi e ristoranti, oggi sarebbe difficile che i lampedusani si accorgessero di quel che succede nel cuore dell’isola. Hanno sofferto gli arrivi anni fa, quando ancora non c’era una struttura efficiente che potesse accogliere i migranti.

Come ci si sente, a ritrovarsi a curare donne, uomini, bambini in queste condizioni? «Da medici – risponde Pizzecco – siamo abituati a vedere le lacerazioni del corpo e dell’anima, ma qua restiamo traumatizzati anche noi. Facciamo quel che siamo chiamati a fare, perché Lampedusa è la porta d’Europa, ma anche dell’umanità. L’importante sarebbe che le persone non soffrissero, e invece questo sembra un viaggio verso il suicidio».

Brandstätter evoca i pensieri sugli effetti della globalizzazione, «qualcosa nel mondo sta andando storto. Nei paesi più ricchi c’è solo il Covid: qui il Covid è il problema minore, a confronto con le patologie di cui soffrono molti migranti. L’unica soluzione a lungo termine è che i paesi occidentali diano aiuti e speranze lì dove le persone nascono e vivono. Noi Medici dell’Alto Adige per il mondo lo facciamo con le offerte che riceviamo. La cooperazione è l’unica soluzione».













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