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Addio a Rolando Ricci, l’ufficiale gentiluomo che realizzò coi suoi soldati i Prati Talvera

Comandò i soldati che in meno di un anno realizzarono i prati, movimentando un milione di metri cubi di terreno


di Alessandro Bandinelli


BOLZANO. Questa è la storia di un ufficiale gentiluomo che è andato al di là del suo mandato per regalare a una città il suo polmone verde. L’ufficiale è il generale del genio, Rolando Ricci venuto a mancare appena qualche giorno fa, il regalo si chiama “prati del Talvera” e nasce grazie all’incontro tra l’allora capitano Ricci, e l’ingegner Michele “Misha” Lettieri.

La storia comincia nel 1970, quel polmone verde, all’epoca è solo una vasta pietraia dove il torrente Talvera si disperde in tre o quattro flussi d’acqua senza capo né coda. Un luogo dimenticato dai bolzanini, dove i ragazzini vanno a tirarsi le pietre tra le baracche dei senza tetto. In quel 1970 la pace e la tranquillità dei prati è ancora solo il sogno di un professore di istituto tecnico, l’ingenger Lettieri, che prende forma tra gli esercizi di rilievo metrico che lo stesso professore fa fare ai sui studenti sul greto antistante al Galilei. L’idea però resta un’idea, finché un giorno, in occasione di una festa, Lettieri conosce due generali del genio amici di suo fratello - comandante medico. I generali, informati dell’ idea, mettono a disposizione dell’ingegnere alcuni mezzi e uomini. «Dissi che volevo realizzare solo due campi sportivi - confessa il novantaduenne Misha Lettieri - alla fine di quell’anno nel 1971 movimentammo oltre un milione di metri cubi di terreno». La fortuna, per l’ingegnere, è che al comando di quelli che inizialmente sono solo pochi uomini al seguito di qualche residuato americano, c’è un giovane capitano di 33 anni, Rolando Ricci, che si adopera per realizzare l’idea immaginata da Lettieri: «Giustificavo tutta quella movimentazione di terreno - ammette l’ ingegnere - con la scusa di costruire una “difesa idrica” ai campi sportivi. Il capitano Ricci però aveva capito che volevo spingermi sempre più in là, ma non diceva nulla anzi mi metteva a disposizione quello che chiedevo».

Ricci, responsabile delle operazioni, intuisce che le vere intenzioni di Lettieri non sono quelle di fare due campi sportivi, ma di costruire un’opera destinata a cambiare il volto della città. Silenziosamente lo asseconda, intercedendo presso i suoi superiori per chiedere ulteriori mezzi e uomini. Mezzi e uomini che in breve cominciano ad arrivare dalle altre compagnie: « A quel punto successe una cosa incredibile - prosegue nel suo racconto Lettieri - la folla cominciava a fermarsi sul ponte Talvera a guardare i lavori a incitare gli uomini. I militari si entusiasmavano e lavoravano senza tregua, nessuno si dava più malato». Un entusiasmo che via via si diffonde per tutta la città, persino tra la popolazione di madrelingua tedesca: «Ricordo quando fummo invitati da un consorzio di Gries, e il presidente, che era una nota personalità a Bolzano, ci disse: “Io nella mia lunga vita non ho mai sentito fra la mia gente (i sudtirolesi ndr) parlare così bene del soldato italiano” questa cosa dentro di noi fu una soddisfazione enorme. Capimmo con Ricci, che avevamo raggiunto qualcosa che andava completamente al di là dell’opera in sé». I lavori del Talvera si trasformano infatti in un grande successo di comunicazione per l’esercito italiano, che all’epoca, è visto ancora come estraneo da gran parte della popolazione di lingua tedesca. Nonostante questo Ricci e Lettieri continuano a darsi del lei, e continueranno a darselo per tutta la vita, fino allo scorso settembre, quando l’ingegnere e il generale si sono incontrati per l’ultima volta nella casa di riposo di via della Roggia dove Misha Lettieri si è ritirato da qualche anno. «Nemmeno una volta si è vanto di quello che ha fatto, ma era consapevole della sua importanza, lo so per il fatto stesso che abbiamo voluto coltivare per tutta la vita un’amicizia affettuosa, anche se non assidua. Domani (oggi per chi legge ndr), andrò a dargli l’ultimo saluto. Anche se ho qualche difficoltà di movimento glielo devo, senza di lui, il più bel progetto della mia vita sarebbe rimasto solo l’idea di un matto. Invece, se oggi i bambini possono giocare, gli innamorati tenersi per mano e gli anziani come me fare una passeggiata nel verde, lo dobbiamo a lui».

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