bolzano

«Alla vita chiedo ancora una proroga»

Tomazzoni, l’ex primario di Pneumologia, in un post su facebook parla della malattia e della gioia delle piccole cose


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Ultima prova». S’intitola così il post pubblicato sulla pagina facebook alle 2.25 del 22 novembre da Franco Tomazzoni, 82 anni, noto medico bolzanino a lungo primario di Pneumologia del San Maurizio, fondatore del servizio di Medicina dello Sport e del Lavoro, alle spalle anche una breve esperienza in Comune - è stato presidente del consiglio - con Italia dei valori; appassionato di viaggi, di montagna e scialpinismo. In genere restio a raccontare di sé, Tomazzoni parla agli amici della sua malattia, di cui pochi probabilmente sapevano visto che era nell’ambulatorio di via Novacella fino al 23 ottobre e pochi giorni prima, a ponte Talvera, aveva partecipato alla Giornata mondiale della spirometria: «Dopo un anno di malattia - scrive - passato in buone condizioni, nelle ultime settimane le mie condizioni si sono fortemente aggravate e devo pensare al peggio. E adesso cosa succede? Credo che sia difficile dare una risposta. Razionalmente tutto quadra: la vita nasce, fiorisce, finisce e questa è una certezza. Quindi tutto normale, ma abbandonare la vita che pure amo, gli affetti mi riempie di commozione».

Il peggio adesso è passato: Tomazzoni è ricoverato in quel reparto che ha creato nel 1974 ed ha diretto fino al 1999. Oggi il primario è Giulio Donazzan, che assieme ad altri medici dello staff, è cresciuto al suo fianco. Il fisico è acciaccato, il tono della voce quello di sempre e anche l’autoironia.

Come sta: che prognosi fa il medico a se stesso?

«Navigazione a vista. I miei colleghi mi stanno comunque “pompando” per riparare al dissesto idrogeologico».

Come mai la decisione di scrivere quel post?

«Ero stato male all’improvviso, ho visto davvero in faccia la morte e mi ha preso l’ansia. Ho pensato che fosse la fine e volevo salutare le persone che ho conosciuto».

Anche lei come tutti chiede una proroga alla vita?

«Se mi viene concessa, cambio tutto».

Ovvero?

«Dopo una vita vissuta facendo mille cose. Avrei voglia di concedermi un po’ di meditazione. Leggere, ascoltare musica: mi accontenterei in fondo di piccole cose che però rendono la vita bellissima».

Come vive un medico la “sua” malattia?

«Credo come qualsiasi altro malato. Passato il peggio mi comporto come gli altri, ovvero mi sono messo su una barchetta e mi dico “sarà quel che sarà”».

Lei che in tanti anni ha visto centinaia di persone morire, non ha paura della fine?

«No. È la normale evoluzione della vita. E io voglio vivere la fase finale della mia esperienza, “guardandola” in faccia. Mi dispiace però lasciare gli affetti ».

Cosa pensa dell’accanimento terapeutico?

«Un’assurdità. La vita va vissuta nella sua pienezza. Per questo anche le cure palliative a mio avviso vanno usate con grano salis. Ovvero, sono preziose per togliere il dolore, ma per il resto io voglio restare lucido. Capire cosa mi sta succedendo. Fortunatamente, la malattia non mi ha tolto la lucidità, mi ha però reso più fragile fisicamente e mi commuovo più facilmente, che è una cosa che odio. Per questo però ho trovato un antidoto».

Quale?

«Sono sempre stato un leone. Lei ha mai visto un leone piangere? Respingo la commozione con qualche parolaccia».

Crede che dopo ci sia un’altra vita?

«Chi crede ha una soluzione a certi interrogativi che io non ho, visto che la mia è una formazione di tipo biologico-evoluzionista. Per questo so che sopravvivrò nei miei figli e nei miei nipotini».

Parliamo del campo a lei più congeniale: com’è cambiata la medicina?

«Radicalmente. Oggi la parte strumentale, ovvero esami di ogni tipo, ha di fatto preso il posto di quella clinica. I computer, le apparecchiature di ultima generazione ti danno tutta una serie di informazioni che, fino a pochi anni fa, ignoravamo, ma non si può mai prescindere dall’uomo nel suo complesso. Il malato oncologico, per fare un esempio, è un povero cristo pieno di magagne che avrebbe bisogno di una medicina un po’ più umana».

Le criticità della sanità altoatesina?

«Gli investimenti non sono proporzionati alla qualità. I medici sono bravi, la colpa è del sistema politico che tende a racchiudere tutto dentro i confini provinciali. Abbiamo lasciato andare via eccellenze come Scienza e Königsrainer, tanto per citare qualcuno ».

Secondo lei bisognerebbe cancellare proporzionale e bilinguismo?

«Sono due principi che vanno mantenuti per i quadri intermedi, mentre non vanno applicati ai vertici, perché la medicina è sinonimo di internazionalizzazione, non conosce confine. Gli Stati Uniti sono al top in tanti settori perché non si chiedono da dove arriva uno, ma se è il migliore».

Cosa pensa del dibattito sulla riconversione degli ospedali di periferia?

«La rete assistenziale va garantita su tutto il territorio, ma al di sotto di una certa casistica non si creano eccellenze, si rischia invece di curare male i pazienti».

La sua esperienza con il movimento di Di Pietro?

«Mi aveva sedotto il protagonista di Mani pulite, per questo ero entrato in politica. Ero convinto che con lui l’Italia avrebbe conosciuto una nuova stagione. Mi ero sbagliato, ho capito che la mia era una battaglia persa e me ne sono andato prima che la situazione degenerasse».













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