Althamer, tra fantascienza e barocco

Inaugurata ieri al Museion la mostra «Polyethylene»: sculture per un ritratto di gruppo



BOLZANO. Tra film di fantascienza e spettacolo barocco. Museion ha inaugurato ieri la mostra «Polyethylene» di Pawel Althamer, a cura di Letizia Ragaglia.

Una schiera di figure umane completamente bianche, settanta candide sculture, metà zombie e metà creature popolano, singole o a gruppi, gli spazi espositivi del quarto piano del museo bolzanino. La partecipazione, la condivisione e l’indagine sulla scultura sono solo alcune parole chiave della poetica di questo artista, considerato tra i più influenti della sua generazione.

Scultore di formazione, Pawel Althamer ha studiato all’Accademia di belle Arti di Varsavia nella classe di Grzegorz Kowalski, sostenitore dell’opera come «forma aperta», che nasce dall’interazione tra le persone e lascia ai visitatori ampi spazi di azione e interpretazione. Due poli apparentemente opposti convergono nel lavoro di Althamer: l’indagine sulla scultura classica da un lato e le pratiche di creazione partecipata dall’altro. Come molti suoi progetti, anche i lavori esposti a Museion nascono da un processo di coinvolgimento tra l’artista, i suoi aiutanti e i visitatori della mostra.

Maschere di precisione realistica, ma dal carattere totemico e surreale, a cui l’artista e i collaboratori hanno poi assegnato un corpo di «bianca carne sintetica», il polietilene appunto. Da questo materiale sintetico, impiegato nella fabbrica del padre di Althamer e quindi di vitale importanza per il sostentamento della famiglia, deriva anche il nome della mostra a Museion.

Dalla scultura classica a quella barocca passando per l’arte funeraria medioevale fino all’estetica dei fumetti e dei film di fantascienza: le bianche figure di Pawel Althamer evocano una moltitudine di associazioni, un gioco di riferimenti alle immagini e alla storia dell’arte. Come nelle antiche immagini dei santi, molte hanno attributi distintivi, solo riportati ai tempi di oggi: un notebook, un casco, delle cuffie per ascoltare la musica.

Ogni opera porta il nome della persona ritratta, ognuna incarna la propria storia e al contempo infinite altre. Tutte insieme danno vita ad un grande «ritratto di gruppo collettivo». Troviamo sculture come Tim e Burkhard, frontali, che con il loro sorriso arcaico ricordano i kouros ellenici; altre evocano addirittura i sarcofagi egizi. Alcune, sedute o rannicchiate, sembrano emulare i personaggi delle vele nella volta della cappella Sistina di Michelangelo, ma ricordano allo stesso tempo i «Pensatori» dello scultore francese Rodin. Certe pose di danza leggiadre rimandano ai movimenti eleganti delle figure incise sui vasi antichi, ripresi da Canova. Il gruppo di Valerie, Elisabeth e Rita rinvia all’iconografia di un’apparizione mariana, mentre il gruppo da sette formato da Matthias, Heidrun, Holger, Andreas, Eleanor, René e Fabio evoca la rappresentazione di un «Totentanz» nordico. Il ratto di Proserpina del Bernini rivive nel moto bloccato della sedia a rotelle di Natascha.

Il gruppo «Mission» appare invece come il relitto di un ufo atterrato negli spazi di Museion, da cui sembrano fuoriuscite le bianche creature della mostra. L’oggetto, che ha ispirato l’idea della mostra all’artista, è in realtà un gabinetto chimico bruciato, trovato da Althamer vicino a Varsavia. Le associazioni potrebbero continuare all’infinito assecondando l’idea di un concetto d’autore collettivo, che attraversa tutta l’opera di Althamer.

La mostra rimarrà aperta fino al 26 agosto 2012.













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