Assoimprenditori: «La Convenzione? In mani sbagliate»

Il vicepresidente nazionale Pan: «Certi argomenti vanno delegati alla politica, ad esperti che sanno mediare»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «In un mondo normale a chi si affida un'operazione al cuore?». Ad uno specialista, presidente? «Ecco, anche un'architettura politica, una riforma di un ambito così complesso come l'autonomia dovrebbe essere affidata a specialisti. Che in politica si chiamano tecnici, costituzionalisti, esperti, parlamentari di lungo corso». E invece ? «Accade che per questa mania di delegare tutto a tutti passi il messaggio che i processi democratici vadano governati da assemblee volanti, costruite senza deleghe riconosciute, quasi per auto convocazione...». Stefan Pan, presidente uscente di Assoimprenditori Bolzano ma vicepresidente entrante degli industriali italiani a fianco di Vincenzo Boccia, prima dice di «non voler parlare di politica», anche perché «dovrò leggermi bene e meglio il documento della convenzione», ma poi va a toccare uno dei nodi del problema riforma dello Statuto: che è il metodo. E così, sulla relazione conclusiva costruita sul volere della maggioranza prima del forum dei cento e poi dei 33, sulle spaccature registratesi intorno a temi divisivi come l'autodeterminazione, la regione e la prefettura e, infine, testimoniate dalle tante relazioni di minoranza italiane già preannunciate, Pan non va alla fine della storia ma all'origine del problema .

Cosa non è andato in questo percorso di riforma dell'autonomia?

«Non aver compreso che questo è un processo complesso. E averlo trattato in modo semplificato».

Colpa della politica, dell'Eurac, dei gruppi conservatori?

«Non dò colpe specifiche. In linea generale la complessità va gestita. In tutti i campi. In questo ci sono livelli legati al quadro europeo, nazionale, bilaterale con l'Austria, interni, inter etnici. Non si affida tutto questo a assemblee che si assemblano da sole, in cui uno arriva e si siede».

Ma non sono assemblee costituenti...

«Ma adesso si dovrà porvi rimedio. E sono stati intanto riproposti argomenti molto divisivi che avrebbero meritato una gestione più filtrata».

Nel merito, si sono invece riproposte fratture etniche su autodeterminazione, distacco dalla regione ...

«Ho letto. Ma non approfondito. Tuttavia dico questo. Quando mi sono insediato a capo degli imprenditori altoatesini al primo punto del documento che abbiamo elaborato e che doveva costituire il binario principale di avanzamento complessivo per la nostra economia c'era scritto “l'Alto Adige territorio aperto”. E io penso ancora che per crescere bisogna abbattere i muri e non crearli. E poi costruire connessioni: locali, regionali, interregionali...».

Cosa serve perché i muri si possano abbattere e per non crearne invece di nuovi?

«Serve soprattutto coraggio. Costruire barriere è semplice, basta guardare al passato. E alle paure».

Qui è mancato?

«È mancato uno schema tecnico di riferimento. Si è semplicemente detto: fate voi...».

Ma si voleva far parlare il popolo, è stato detto ...

«Ma quale popolo? Difficile capire la rappresentatività attraverso un quadro di deleghe in bianco. E poi, che base di conoscenze giuridiche, politiche, amministrative, sociali avevano i partecipanti? Chi le ha verificate? Anche chi fa politica da anni a volte non è preparato».

Quando si costruì il secondo Statuto si iniziò prima a concordare un impianto tra esperti, poi tra politici delegati infine nelle assemblee di partito . Si doveva fare così?

«Il mondo è cambiato, magari il percorso poteva essere diverso. Ma temo che la ragione di tutti questi problemi siano legati all'atmosfera che stiamo vivendo in cui si crede che affidare a qualcun’altro il lavoro che invece spetta a te sia una buona cosa, in questo caso affidare a non specialisti un compito da specialisti».

E forse al mondo una cosa più speciale della nostra autonomia non esiste.

«Appunto. E poi la complessità e la delicatezza dei temi meritavano che ad occuparsene fossero degli esperti in complessità, con tavoli integrati tra tecnici dei governi interessati, esperti in questioni economiche».

Cosa dirà l'economia?

«Il nostro manifesto era per un Alto Adige più aperto e non più chiuso. E poi l'economia nelle sue istituzioni cerca sempre di muoversi attraverso un quadro di condivisione».

Quale avrebbe dovuto essere lo spirito di una convenzione per la riforma?

«La convivenza. Con un obiettivo comune: la ricerca di una sempre maggiore integrazione tra i gruppi. Lavorare tutti e sempre perché tutti si sentano a casa propria in questa terra».













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