Aymen, ucciso a 17 anni dalla cocaina

L’appello disperato del padre del ragazzo che aveva problemi di salute: «Chiedo giustizia: chi gli ha ceduto l’ultima dose?»


di Massimiliano Bona


BOLZANO. Aymen Younes, il ragazzo di 17 anni trovato esanime a fine aprile nel sottoscala di un garage in via Brennero, è morto per un infarto causato da un’overdose di cocaina e cannabinoidi: è questo l'esito dell'esame tossicologico disposto dalla Procura, che sulla vicenda ha parto un’inchiesta per individuare il pusher che gli ha ceduto la dose che gli è costata la vita. Il padre di Aymen, da quel maledetto 24 aprile, non si dà pace. «Voglio giustizia perché so per certo che mio figlio, quando è morto, non era da solo. Chi gli ha ceduto la droga, se avesse dato l'allarme, avrebbe anche potuto salvarlo». Il padre di Aymen, come qualsiasi genitore che perde un figlio così giovane, vuole delle risposte. «Il mio ragazzo è andato via di casa martedì ed era rientrato da poco da un periodo in un centro di recupero fuori regione, a Parma, in cui non si trovava bene. Da quanto ho capito è venuto in contatto con cattive compagnie e si è fatto trascinare. Era timido ma voleva uscirne: come molti giovani assumeva, talvolta, pasticche di ecstasy quando andava a ballare ma mai droghe pesanti. Si è fatto trascinare da chi non voleva di sicuro il suo bene».

Il diciassettenne ha trascorso fuori casa le ultime quattro notti della sua giovane vita. «Sapevo per certo che non era eroina e soprattutto che non si bucava».

Aymen viene descritto dagli amici come un ragazzo vitale, intelligente (ha frequentato la scuola professionale Einaudi di via Santa Geltrude) e pieno di interessi. Amava la musica, ballare ma anche l’informatica. Un adolescente acuto, ma anche generoso e benvoluto, che si è imbattuto nelle persone sbagliate. «Abbiamo cercato fino all’ultimo di allontanarlo da Bolzano ed era stata trovata una struttura per aiutarlo. Sarebbe bastata qualche settimana di terapia. Ma è scappato. Non gli ho mai fatto mancare niente al mio Aymen...».

Gli stessi educatori e animatori che negli ultimi anni erano venuti in contatto con Aymen alle scuole professionali di Oltrisarco si erano accorti che l’unica via d’uscita per ripartire da zero e ritrovare la strada smarrita era una comunità di recupero, meglio se fuori regione, a centinaia di chilometri da quelle cattive compagnie che lo avevano cambiato dentro, allontanandolo anche dai suoi valori. Il giovane marocchino, in Italia da quattro anni, sembrava averlo capito e, d’accordo con il padre, aveva accettato a denti stretti questa soluzione. L’idea di lasciare tutto e tutti lo spaventava ma alla fine aveva accettato. Anche gli amici - quelli veri - lo avevano convinto. Ma quell’esperienza è durata poco, troppo poco. I fantasmi sono riaffiorati e quel ragazzo dalla faccia pulita e dallo sguardo buono non è più riuscito a trovare le forze per tornare in linea di galleggiamento. E iniziare una nuova vita.

Ora il padre, che ogni mattina deve fare i conti con un vuoto incolmabile che non gli dá pace, chiede a Polizia e Procura una sola cosa: giustizia. Meglio se in tempi brevi.

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