Benini restaura mobili antichi anche col cuore

La sua famiglia opera nel settore dal 1933. Il suo centro è ora una cooperativa sociale


di Gigi Bortoli


MERANO. Raggiunta Merano per una sciata, era il 1978, Marco Benini, a Merano si fermò conquistato da una graziosa venostana, Helene Ortler, che diventò sua moglie e che ancora lo affianca nel suo lavoro. Un lavoro particolare coltivato sin dall'infanzia in quel di Ferrara: il restauratore di mobili antichi. Marco Benini, infatti, rappresenta la terza generazione della sua famiglia in fatto di restauro. Naturalmente nella nostra città portò con sé anche il ricco bagaglio d'esperienza lavorativa e fino al 1993 continuò la sua attività con una ditta a suo nome, poi diventato Centro Restauro Meranese SAS.

Dal 2008 una nuova variazione nel segno della solidarietà con l'istituzione della Cooperativa Sociale Centro Restauro Meranese (24 soci, tra cui anche alcuni che parteciparono nel 1993 alla fondazione della cooperativa Albatros, che quale prima sede fu ospitata dall'allora Ditta Benini) che svolge la sua attività in via delle Scuderie nell'area del Molino Pobitzer. Un trasferimento recente e non ancora del tutto completato.

Benini, ci parli del suo lavoro?

«Più che un lavoro per me è sempre stato un piacere e ancora lo è. Vengo da una famiglia di restauratori. Ho respirato l'aria e l'odore così particolare di una professione unica sin dalla tenera età. Ho conosciuto i segreti e l'arte del restauratore, ma soprattutto ho assimilato un bagaglio di conoscenze nel settore dei mobili antichi che è la base per operare con perizia e cognizione di causa in tale settore. Non tutti se ne rendono conto, ma restaurare comporta la conoscenza della stessa storia di un mobile».

Una conoscenza ad ampio raggio e di livello europeo...

«Si provi ad immaginare quanto complesso sia questo lavoro. Solo restando nel territorio altoatesino gli stili variano da una vallata all'altra. Variano le forme, le cornici, il tipo di legno e via dicendo. E questo perché, mentre in un territorio di pianura lo stile resta più uniforme per via di una forma comunicativa meno complessa, in una zona di montagna la comunicazione risulta essere più frammentaria e ostacolata dalla stessa conformazione del territorio».

Quello del mobile antico e dell'antiquariato è anche un mercato?

«Un mercato difficile in cui ci vuole la necessaria attenzione. Questa la norma: gran parte delle persone che ti offrono mobili credono di offrirti un pezzo pregiato che alla prova dei fatti tale non è. Tra coloro che operano in questo settore con competenza e serietà, non mancano, come in tutte le attività, quelli che non l'hanno».

Quella che dirige è una cooperativa sociale. Da cosa nasce questa sua disponibilità?

«Anche in questo caso devo tornare alla mia famiglia d'origine che sempre ha avuto un senso di disponibilità verso il prossimo. Una sensibilità che si è ulteriormente amplificata avendo dovuto affrontare il dramma di un fratello scomparso prematuramente. Lo scopo della cooperativa è quello di inserire persone disagiate nell'ambito lavorativo affinché prendano coscienza di sé e autostima. Sotto quest'aspetto il lavoro di restauratore è una buona medicina che può far sentire l'individuo appagato. Naturalmente siamo in stretto rapporto con i servizi sociali che ci segnalano persone problematiche per i motivi più svariati. Dall'alcolismo alla droga, da problematiche di ordine psichiatrico a quelle del gioco o affidamenti sostitutivi alla carcerazione. Siamo affiancati in loco dalla fondamentale opera dell'educatrice Michela Vanzo. Un terzo delle persone che lavorano qui devono essere soggette a problemi individuali. Due possono rientrare nell'organico complessivo con un contratto stabile, mentre si può arrivare, attualmente in questa fase di trasloco, a quattro o cinque l'anno. Al massimo si potrà arrivare ad una decina.».

Ci sono dei risultati visibili?

«Uno di questi lavoratori è entrato qui senza emettere una sillaba quando, dopo un po' di tempo, è riuscito ad interagire con noi parlando. E' stata una bella soddisfazione. Tempo di crisi, tempo di problemi? Il buon nome che ci siamo fatti in tanti anni para un po' il colpo. Quello che registro a differenza di altri periodi è la carenza di commesse da parte dell'ente pubblico che pure vanta una ricchezza di musei provinciali e non solo quelli. Abbiamo operato a Castel Roncolo, al Trauttmansdorff, al Museo di Andreas Hofer e in altri contesti importanti. La competenza nostra è conosciuta e riconosciuta e, dunque, facciamo fatica a capire la ragione per cui non si rivolgono a noi come una volta. Noi, senza voler innescare polemiche, siamo qui con tutta la nostra serietà e competenza».

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