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Bolzano, il 55% dei bambini di prima sceglie le scuole tedesche

I bimbi di madrelingua sono crollati al 36%. L’assessora Ramoser convoca le dirigenti degli istituti comprensivi cittadini. Le presidi: «Con questi numeri è un’utopia pensare di imparare il tedesco»



BOLZANO. Nonostante la popolazione di lingua tedesca in città si aggiri attorno al 20%, per il prossimo anno scolastico alla prima classe delle primarie il 55% dei bambini bolzanini sono stati iscritti alla scuola in lingua tedesca. E' la cartina di tornasole di quanto sia esteso il fenomeno della migrazione dei bimbi di lingua italiana e con background migratorio verso la scuola tedesca. Un problema, per tutti, anche per chi ambisce ad imparare la seconda (o in molti casi la terza) lingua: perché una buona immersione in una certa lingua, in questo caso il tedesco, è garantita soltanto se i non madrelingua presenti in classe non superano il 30%, mentre ora la situazione è quasi opposta, capovolta: veleggiano verso il 70%.

Se infatti nel 2013 nelle scuole tedesche per esempio di Gries i bimbi esclusivamente madrelingua erano il 48%, nel 2023 sono scesi al 36%, ossia, quasi due terzi non sono madrelingua. Sono alcuni dei dati snocciolati ieri (16 marzo) dalle dirigenti dei quattro istituti comprensivi cittadini in lingua tedesca, durante un incontro in municipio voluto dall’assessora alla scuola Johanna Ramoser. In rappresentanza di tutti gli istituti comprensivi della città erano presenti le dirigenti Christina Holzer (goethe, wolff, chini tedesche), Susanna Huez (Aufschnaiter, Quirein, Stolz, Egger Lienz), Liselotte Niederkofler (Gries, Stifter) e la vicaria Annamarie Kompatscher (Pestalozzi, Schweitzer, Langer tedesche).

Tedesco come prima lingua

«Alle Goethe, a Gries, ad Aslago, solo per il 30-40% dei bambini il tedesco risulta la prima lingua, per tutti gli altri alunni quella tedesca non è la prima lingua», ha sintetizzato al termine dell’incontro l’assessora. «Non è una questione etnica, ma di competenza nella lingua, di qualità della scuola». La pedagogia, hanno confermato le presidi a Ramoser, dice che la cosa migliore per garantire una buona immersione linguistica è che non si salga sopra il 30% di bimbi che non parlano il tedesco come prima lingua, in altre parole il 70% dovrebbe essere madrelingua. Il tedesco dovrebbe essere lingua dominante, anche durante la pausa, nei laboratori... Ma attualmente non è affatto così, a Bolzano è il contrario. Come hanno illustrato le dirigenti scolastiche «numerosi bimbi di prima, terminata la scuola dell’infanzia, anche se l’hanno frequentata in tedesco, hanno conoscenze di tedesco molto scarse ma sanno bene l’italiano». E ciò vale sia per i bambini di lingua italiana sia per quelli con background migratorio. Fuori da scuola non parlano quasi mai in tedesco con nessuno.

La migrazione

Le stesse dirigenti della scuola tedesca hanno notato negli anni una progressiva migrazione dalle scuole italiane verso i loro istituti. Alle presidi è stato chiesto se le scuole in lingua tedesca attirino perché sono magari migliori dal punto di vista generale della didattica, ma la risposta è stata questa: «Non siamo in grado di dirlo: anche le scuole italiane a nostro avviso lavorano davvero molto bene, specialmente con il loro sistema di lezioni bilingui».

L’utopia. Che non funziona

Il problema principale sembrano i genitori. «I bambini arrivano per imparare il tedesco ma nella realtà non funziona», hanno spiegato all’unisono le dirigenti. «È un’utopia». Perché in classe ci sono bimbi con prima lingua l’italiano, bimbi con background migratorio per i quali l’italiano è la seconda lingua e il tedesco la terza. Per via dei numeri, la lingua dominante, comune, è l’italiano. «A noi dispiace moltissimo - hanno detto le presidi - che in città non ci sia più nessuna necessità di parlare in tedesco. Tutti parlano italiano, sanno l’italiano molto bene. Quasi più nessuno si impegna, forse non c’è neanche più la voglia». Tante volte i ragazzi tedeschi non padroneggiano l’Hochdeutsch, che magari i ragazzi italiani hanno imparato bene a scuola anche se non sanno il dialetto, e quindi, quando si trovano, è più facile così: parlano tutti italiano.

Il bambino al centro

«Si dovrebbe pensare di più ai bambini», ha chiosato l’assessora Ramoser. «Come si sente un bambino se non capisce quando si fa lezione in classe?» Le presidi hanno annuito: l’alunno che fa fatica rischia di diventare frustrato, mentre il compito degli insegnanti è di garantire a tutti gli alunni un percorso didattico di successo.

Se invece il ragazzino si rende conto che nell’altra scuola potrebbe prendere voti più alti, che il rendimento dipende molto dalla lingua, si rischia il drop out: che non voglia continuare a studiare. «Ma noi - hanno ribadito in coro - dobbiamo garantire che concludano il loro percorso didattico».

Per evitare problemi, all’atto dell’iscrizione si tengono dei colloqui. Si vuole capire se ci sono dietro dei genitori disposti a mettersi in gioco, facendo magari dei corsi di tedesco, oppure facendosi aiutare per i compiti da una persona di madrelingua tedesca. Ma i colloqui si svolgono spesso in italiano, perché i genitori non sono in grado di sostenerli in tedesco.

Frequentando la scuola tedesca si spera in migliori chance sul mercato del lavoro, «ma al centro deve esserci il bambino, deve essere motivato anche l’alunno».

La soluzione? Manca

A trovare le soluzioni, hanno chiarito le dirigenti, «deve essere la politica». Si deve risolvere la questione, anche da un punto di vista legale. «Oggi le scuole non possono rifiutare nessun bambino».

La legge prevede da decenni la commissione paritetica, due esperti di ciascuna intendenza scolastica, ma non è mai stata insediata, «Potrebbero decidere almeno sui casi limite». DA.PA

 













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