Bolzano, madre fa arrestare il figlio drogato: "Ho voluto salvarlo"

Intervista alla donna che ha chiamato la polizia: «E’ stata una scelta difficile, ma non mi pento. Spero che questo momento di grande sofferenza, per me e per lui, serva per dare una svolta alla vita di mio figlio»


Gianfranco Piccoli


BOLZANO. «E’ stata una scelta difficile, ma non mi pento. Spero che questo momento di grande sofferenza, per me e per lui, serva per dare una svolta alla vita di mio figlio». La mamma del diciassettenne arrestato per spaccio è una maschera di dolore. Ieri mattina il ragazzo, difeso dall’avvocato Domenico Laratta, è stato sentito dal Gip nell’interrogatorio di convalida dell’arresto. Non potrà tornare a casa, non ora: il giudice ha deciso per un affidamento ad una struttura per minori.
 La madre dell’adolescente ha deciso di parlare con l’Alto Adige per chiarire alcuni punti di una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica. Dietro a questo arresto c’è una storia di «ordinario» disagio giovanile. Con un finale diverso da tanti altri: una mamma che ha deciso di mettere in gioco tutto il suo amore, scontrandosi con la paura di perdere affettivamente un figlio, litigando con i sensi di colpa che affiorano.
 E’ vero che ha denunciato suo figlio?
 «No, non è vero e questo lo ha spiegato anche il giudice ieri a mio figlio durante l’interrogatorio. E’ accaduto che, ad un certo punto, preoccupata per il suo stile di vita, per certi suoi comportamenti e frequentazioni, mi sono rivolta alla polizia per chiedere aiuto e consigli, per capire a quali conseguenze sarebbe potuto andare incontro. Ma la verità è che il nome di mio figlio era già noto alle forze dell’ordine: non l’ho denunciato, non sono stata io a chiedere che lo arrestassero. Anche perché io su di lui avevo sospetti, ma nessuna certezza. Ci tengo a chiarire un’altra cosa».
 Prego.
 «E’ circolata la voce che ho fatto i nomi di presunti complici di mio figlio: nulla di più falso. Mai fatto il nome di nessuno».
 Perché è andata in questura?
 «Innanzitutto per proteggere mio figlio. Poi per tutelare la famiglia».
 Non deve’essere stata una scelta facile.
 «Ma secondo lei quale genitore vorrebbe vedere proprio figlio in carcere? Sto soffrendo tremendamente, non so neppure quando potrò rivederlo di nuovo. La speranza è che tutto questo possa portare ad un radicale cambiamento nel mio ragazzo».
 Suo figlio sapeva che si era rivolta alla polizia?
 «Lo sapeva. E anche per questo aveva del risentimento nei miei confronti. Ed ora pensa che sia stato io a denunciarlo...».
 Se è andata in questura, evidentemente era esasperata...
 «Da tempo vedevo che la sua vita era fuori dai binari. Avevo dovuto ritirarlo da scuola, nonostante i voti fossero buoni, ma le sue assenze crescevano sempre più. Ha cominciato a non rispettare le regole».
 A quell’età è abbastanza normale avere moti di ribellione nei confronti dell’autorità, delle regole.
 «Era una situazione che andava avanti da parecchio tempo e i miei interventi educativi continuavano a cadere nel vuoto. Lui ha continuato a promettere di rimettersi in riga, ma non lo ha mai fatto. Non sapevo più come comportarmi: a volte tornavo a casa e mi chiedevo: “E adesso che cosa faccio?. Si concede sempre un po’ di fiducia...».
 Fino a quando è arrivata la polizia a casa.
 «Un momento terribile per tutti: sono arrivati gli uomini in divisa e lo hanno portato via».
 Signora, ora si pente di quello che ha fatto?
 «E’ da tre giorni che piango e lui non mi vuole parlare. Ma, no, non mi pento. Era giusto che mio figlio sapesse che quando lo riprendevo non stavo scherzando. Spero che la mia scelta sia d’esempio per altri genitori nella stessa situazione: quando si entra in questa spirale, non si riesce ad uscirne da soli, bisogna chiedere aiuto. Anche alla polizia».
 Adesso suo figlio si trova in una struttura per minori.
 «Spero con tutto il mio cuore che per lui sia un momento di svolta. A casa non voleva più rispettare le regole, adesso sarà costretto a farlo. Ma soprattutto mi auguro che nasca in lui una nuova coscienza».













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