Bolzano: morto il ciclista investito da un camion

Non ce l'ha fatta Canio Di Muro, 52 anni, travolto e schiacciato lunedì pomeriggio all'incrocio con via Parma mentre ripartiva con il semaforo verde: troppo gravi le ferite riportate nell'incidente



BOLZANO. Ha lottato fino all’ultimo. Ha superato due interventi in poche ore pur di rivedere i suoi adorati tre figli. Ma alla fine il suo corpo si è dovuto arrendere, non ce l’ha fatta. Canio Di Muro, 52 anni, è morto alle 3.15 di notte. Accanto a lui c’erano Sara, Manuel e Alessia.

Stava pensando al sorriso di Manuel: era raggiante quando aveva aperto il regalo di compleanno che gli aveva fatto il suo papà. Gli occhi di Sara e Alessia, le due figlie femmine, brillavano. Che bella festa. Ma si era fatto tardi. Doveva ancora andare a fare la spesa. Canio Di Muro è salito dunque sulla sua bicicletta e ha lasciato i tre adorati figli a casa della primogenita.

Poi all’incrocio tra via Parma e via Sassari si è fatto tutto buio. Lo schianto contro il camion, la corsa in ospedale, le due operazioni nella notte. La morte. Gli amici, i figli, i fratelli, raccontano in lacrime la sua storia. Canio Di Muro era arrivato a Bolzano ancora piccolo.

I suoi genitori avevano deciso di lasciare quel piccolo Paese in provincia di Potenza per dare ai loro figli un futuro migliore. Tra questi c’era anche lui. Canio, che aveva solo 52 anni, lavorava come operaio presso la Röchling di Laives. Nel tempo libero andava a guardare con il figlio Manuel tutte le partite di hockey su ghiaccio e di calcio. Amava questi due sport. Per il resto si dedicava anima e corpo ai suoi tre figli: Sara, 23 anni, Manuel, compiuti 17 anni il giorno della tragedia e la piccola Alessia, 14 anni. Viveva con i due figli minori in via Resia, civico 80.
«Aveva appena trascorso qualche ora con noi a casa mia - dice Sara in lacrime -. Avevamo festeggiato tutti insieme il compleanno di Manuel. Dopo la torta però ha detto che doveva ancora fare la spesa e quindi ci ha abbracciati e poi è uscito».
Come potevano immaginare che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero rivisto vivo il loro «mammo», come amavano chiamare quel genitore che da anni faceva loro sia da padre sia da madre. «Faceva il bucato, le pulizie di casa, cucinava, insomma tutto - prosegue Sara -. Non l’avrei cambiato per nessun’altra persona al mondo. Era il miglior papà che si potesse avere». Manuel non smette di piangere, mentre la piccola Alessia guarda nel vuoto senza dire nulla. Per lei è inaccettabile. Sara, invece, anche se non si dà pace deve essere forte per i due fratelli. «Mi mancheranno da morire i suoi piccoli gesti, ma che ti facevano sentire amata - ricorda Sara - Per esempio: quando mi sono trasferita per andare a vivere da sola ero un po’ triste. E lui ha preso un cd e ha messo su della musica. Oppure: una volta sono tornata a casa dal lavoro e davanti alla porta ho trovato un sacchetto con un profumo. Sapevo che era stato lui».

«Mi portava sempre qualcosa quando andava a fare la spesa - la interrompe il fratello Manuel - Mi accompagnava a guardare le partite». La zia Paola abbraccia i tre ragazzi. Ha lo sguardo preoccupato. I suoi nipoti ora stanno da lei in via Alessandria. Non è immaginabile che i ragazzi tornino in via Resia, dove ci sono i vestiti del loro amato padre. I due cani di famiglia vengono accuditi da un amico. Sara cerca di trattenere le lacrime. Ha passato le ultime dodici ore in ospedale accanto al padre. Avevano solo lui, il «mammo». E lui viveva solo per loro. A tradirlo è stato un attimo di disattenzione.

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