C'era una volta Videobolzano 33

Aneddoti e storie a 25 anni dalla nascita dell'emittente privata cittadina



BOLZANO. In questi giorni, Videobolzano 33 festeggia i suoi primi 25 anni di vita. L'unica tivù privata italiana dell'Alto Adige (nel senso che le altre sono "emanazioni trentine" o emittenti regionali), nacque nella tarda estate del 1986 a San Giacomo di Laives. Abbiamo chiesto a Paolo Cagnan, tra i "pionieri" di quella stagione, di raccontarci il dietro le quinte dei primissimi tempi.

di Paolo Cagnan

Chiamiamoli gli incerti del mestiere: fissare intensamente una scatola di scarpe fingendo che sia un monitor, schivare i frammenti incandescenti di lampade senza griglia di protezione esplose durante il tiggì, sudare copiosamente dentro giacche di lana cotta in uno studio a temperature caraibiche, tenere bassi i fogli di lettura perché altrimenti si vede che è carta riciclata, inventarsi improbabili variazioni sull'oroscopo, del tipo «per i nati in questo giorno le prossime 24 ore si prospettano...»

Era questo, Videobolzano ai suoi esordi. Questo e tante altre cose, ovviamente. Ma se si riesce a dribblare l'agiografia, sono gli aneddoti a dare ritmo al metronomo, e a dare sostanza a un'esperienza che è già modernariato, anzi preistoria della Libera repubblica delle tivù private degli anni Ottanta.

Se l'erano inventata loro, Videobolzano 33: Rolando Boesso e Guido Trivelli, usciti (sbattendo la porta, inutile negarlo) dall'Alto Adige. Il primo ex amministratore delegato, il secondo ex condirettore: pronti a tuffarsi, loro che erano campati di pane e inchiostro per interi decenni, nell'avventura televisiva. Senza rete. Il commendatore si ritrovò a discettare di frequenze, ripetitori e palinsesti; il neodirettore, a lottare con i ritmi televisivi ben diversi dagli spazi sui giornali.

Fu una guerra impossibile, all'inizio. I ripetitori non ripetevano un bel niente, se non segnali esotici (ci si ricorda di una sit-com norvegese e di un porno soft inglese, che pure mandammo in onda ché tanto la traduzione non serviva). E il telegiornale era una «pappardella» che sforava abbondantemente la mezz'ora. Ma era la tivù di Bolzano.

Prima, c'era stata solo Telebolzano che aveva lasciato un segno pesante, con un team (Mario Comina, Mario Bertoldi, Silvano Faggioni) che annoverava anche... una certa Lilli Gruber. E Tv Alpi, ovviamente. Di fatto, un incubatore Rai: Ferrandi, Morigi, Bragagna, Mucci... Videobolzano nacque nel garage di un palazzo di via Thaler a San Giacomo, diviso in tramezze. L'ufficio più vicino alla saracinesca fungeva da frigobar, tanto era gelido d'inverno. In fondo c'era, lo studio. Che una volta si allagò, ma il vantaggio del mezzobusto è che può stare in costume da bagno, sotto.

Il tiggì della sera era registrato, a partire dalle cinque del pomeriggio. Se una notizia importante arrivata alle 18.30 finiva quasi in coda alla scaletta, perché era impossibile inserirla prima. C'erano le news, lo sport e la «piccola agenda». Un manipolo di giovani scattanti agli ordini del direttore Trivelli ("Ma di chi è quella bella voce?" ti chiedevano per strada) che leggeva i suoi pezzi senza mai apparire e lanciando stilettate da far impallidire Feltri e Belpietro insieme.

I cameramen erano uomini di fatica, più che tecnici: le telecamere erano enormi e pesantissime, per non parlare di quel cassone travestito da Vcr: il famigerato videoregistratore dove si infilavano le cassette Vhs. Tranne quando a Bolzano vennero gli Harlem Globetrotters, noi firmammo un contratto con penali da trilioni di dollari per garantire che avremmo messo in onda solo un tempo del match e scoprimmo poi... che avevamo registrato tutto senza cassette. In città si girava su una Fiat Ritmo, con cui un tecnico un giorno fece autoscuola non autorizzata, stampandosi contro un muro delle Acciaierie. Lo stesso, forse, che una sera organizzò un festino nel garage-studio: lo scoprimmo perché il giorno dopo la Ritmo era parcheggiata... alla napoletana, con quattro mattoni al posto delle ruote, a dimostrazione dell'entusiasmo dell'inquilinato verso il party.

Erano gli anni delle bombe di Ein Tirol. Una belle palestra, per giornalisti in erba. I tiggì lunghi, a volte eterni, piacevano ai bolzanini (a Merano, ancora Vb33 non si prendeva) come contraltare a quelli della Rai: «Troppi corti, troppo trentini». Agli albori, non c'erano neppure cameramen ed erano i giornalisti a fare le riprese, con l'evidente svantaggio... di non poter intervistare nessuno. In un mese arrivarono i Tecnici, e già le cose migliorarono.

La mattina (in parte è ancora così nelle tivù private) c'era chi restava in redazione a scopiazzare le notizie dell'Alto Adige e chi seguiva le conferenze stampa. In realtà, c'è un prima... del prima. L'inizio, quello vero fu all'insegna di Elio Simoni sr, cameraman Rai neopensionato che prese suo figlio Elio Simoni jr, Alessandro Urzì e Daniele Magagnin e insegnò loro a usare le telecamere. L'unico tecnico di studio, Ennio Della Lucia, assemblava il telegiornale, i giornalisti-tuttofare poi mettevano su le cassette sino a mezzanotte. L'attrezzatura, di seconda mano, arrivava da Padova. Si scriveva sulle Olivetti lettera 28, pestando sui tasti come in fabbrica. E al posto dei cellulari c'erano le cabine Sip, che se per caso finivi i gettoni eri fregato. Ovviamente, non andò avanti così per sempre.

Poco alla volta, Video33 iniziò a farsi conoscere. Portava aria fresca, spezzava il sostanziale monopolio Rai. Con un tiggì arruffone, pieno di papere ma anche di notizie: quelle che il "ceto medio" sembrava volere, e aspettare. Boesso avrebbe voluto aprire un giornale e lanciare la sua sfida all'«Alto Adige». Non ce la fece, arrivò invece il Mattino. Era il dicembre del 1989, e ormai Videobolzano aveva da tempo compiuto i tre anni. Alcuni se ne andarono, altri restarono. La fine dell'era giurassica si fa risalire ad allora.













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