Cambiamento di mentalità

di Paolo Campostrini


Paolo Campostrini


Il problema della Provincia con le imprese è che la Provincia è la più grande delle imprese e vuole continuare ad esserlo. Messi insieme i suoi a quelli dell’Asl e della scuola, ha 38mila dipendenti; tolti gli insegnanti e la sanità, di recente e autonomistica acquisizione, resterebbero comunque 12mila amministrativi. Almeno una famiglia sudtirolese su dieci ha in casa un provinciale. Quando un imprenditore taglia non è felice ma pensa che il suo profitto possa aumentare: quando Durnwalder taglia è ancora più infelice perchè pensa a quanti voti in meno arriveranno a lui e all’Svp. E’ questo quello che continua a dividere Pan dal Landeshauptmann. Pan è convinto da tempo che il motore dell’economia sia l’innovazione e che essa debba partire da uno snellimento della burocrazia: meno elefantiasi nell’apparato provinciale può risolversi in una deviazione di risorse verso gli investimenti produttivi oltrechè in un beneficio per i costi fissi delle aziende. Durnwalder e gran parte della classe politica ritengono invece che, nel breve periodo, una profonda ristrutturazione dell’apparato richiederebbe costi politici ritenuti insopportabili.
Come la spesa sociale, anche il mantenimento di un gran numero di dipendenti pubblici è considerato assimilabile ad una distribuzione di benefit. In realtà le cose non stanno così. L'Alto Adige è ancora felice ma è sempre meno un'isola. L'Europa sta abbattendo una dopo l'altra tutte le rendite di posizione sin qui sopravvissute, dalle concessioni autostradali a quelle idroelettriche, travolgendo anche la cornice dei protezionismi etnico-territoriali che hanno consentito alla Provincia di gestire in proprio assunzioni e ristrutturazione degli apparati. La stessa Svp, nei suoi settori più esposti ai mercati, sa che il futuro dell'Alto Adige così come lo conosciamo (benessere, controllo sociale, risorse illimitate) può essere posto in discussione se non saranno avviate una serie di riforme strutturali che hanno nell'innovazione il loro nocciolo e il loro snodo. Se Pan, l'Assindustria e in generale il mondo economico convergono nel criticare la strategia di risanamento del bilancio portata avanti da Durnwalder è perchè vi vedono una serie di tagli tattici (blocco di alcuni turn over, riforma sanitaria in periferia) ma non una visione strategica che comporti una diversa percezione della crisi in atto. E Pan sa dove va a parare quando parla di sprechi. Non è solo questione di personale, anche se la struttura burocratica altoatesina supera proporzionalmente anche quella statale: Pan vede l'Eurac assorbire grandi risorse per partorire studi su minoranze lontane; guarda alla Lub che stenta a connettersi col territorio; vede le esperienze dei centri di ricerca pubblici perdersi nel piccolo cabotaggio; osserva il Museion mantenere un esercito di dipendenti (dopo essere costato una fortuna) e godere di un numero di visitatori irrisorio. Non sono cattedrali nel deserto: sono cattedrali che si dibattono nel deserto dei risultati.
Sono il prodotto maturo dell'autonomia trionfante: quando negli anni Novanta, fu messa in grado di dispiegare le sue competenze, nacque anche il bisogno di allestire segni tangibili del proprio successo. Le grandi opere sono l'eredità di quell'epoca. Ma oggi sono il segno di una inadeguatezza. Per questo Pan guarda al Polo tecnologico con sospetto: teme l'apparato più che sperare nei suoi supporti. Ritiene che la «cifra» dell'intervento provinciale nell'economia continui a risiedere nell'assunzione di personale e dunque che i costi sovrastino i benefici. E' un sospetto che accomuna molti osservatori. Per questo si chiede che la Provincia cambi passo; che guardi a se stessa come ad una azienda che, per sopravvivere, sia indotta a snellire la propria struttura. E che la politica guardi all'intervento pubblico come ad una cornice di riferimento lasciando al privato la gestione delle risorse destinate all'innovazione. Continuare a guardare all'apparato provinciale come ad una camera iperbarica dove vengono filtrati gli effetti della crisi serve solo a rimandarne gli effetti più evidenti, non a superarla. E a distogliere risorse dal tessuto economico che potrebbero invece assicurare la ripresa. In conclusione: la modernizzazione dell'Alto Adige passa necessariamente attraverso una riconversione del proprio apparato autonomistico. Meno costi fissi e più flessibilità. Non è facile ma è l'unica strada













Altre notizie

l’editoriale

L’Alto Adige di oggi e di domani

Il nuovo direttore del quotidiano "Alto Adige" saluta i lettori con questo intervento, oggi pubblicato in prima pagina (foto DLife)


di Mirco Marchiodi

Attualità