Case di riposo, la fuga delle infermiere

In due strutture si sono già licenziate in dieci. Il collegio professionale: situazione gravissima, condizioni di lavoro difficili


di Valeria Frangipane


BOLZANO. Dimissioni di gruppo tra le infermiere delle case di riposo dell’Alto Adige che mal sopportano di essere dirette da personale con qualifica inferiore alla loro. Una situazione pesantissima denunciata dalla presidente del Collegio infermieri di Bolzano, Paola Nesler, «bisogna fare immediata chiarezza» ed oggetto di un’interrogazione del consigliere provinciale dei Verdi, Riccardo Dello Sbarba.

L’estate 2012 è stata quella delle dimissioni.

E’ successo nella casa di riposo “St. Michael” di Tesimo dove si sono licenziate 7 persone su 7 ed in quella di San Leonardo in Passiria dove hanno gettato la spugna in 3, oltre la metà di quelle in servizio. Sulle cause esatte di questi licenziamenti collettivi - spiega Nesler - non è stata ancora data una spiegazione ma la questione a noi è più che chiara: «Gli infermieri mal sopportano di essere diretti da persone con un iter formativo inferiore al loro. In parole povere meno preparate. La giunta provinciale ha infatti fissato dei “Criteri per l’accreditamento dei servizi residenziali per anziani” che il Collegio chiede, in parte, di rivedere». Dello Sbarba ricorda che una delibera permette anche agli operatori socio assistenziali ed agli assistenti geriatrici ed a quelli familiari (con qualificazione aggiuntiva) - figure non laureate - di dare ordini agli infermieri: «Chiediamo alla giunta di rivedere i criteri per evitare fughe di massa».

Ma che è successo? «Il sindaco di Tesimo, Urban Mair - si legge nell’ interrogazione - ha parlato di conflitti tra le infermiere e la direzione della casa di riposo. La perdita del personale infermieristico in strutture che seguono anziani non autosufficienti è comunque un fatto molto grave. Il lavoro è molto duro e formare un team affiatato ed esperto richiede tempo e formazione. In più i pazienti perdono punti di riferimento preziosi e relazioni costruite nel tempo, che sono alla base del benessere di chi trascorre la sua vecchiaia in casa di riposo. In generale, abbiamo rilevato un diffuso disagio tra gli infermieri delle case di riposo pubbliche della nostra provincia (circa 80 istituti con quasi 300 infermieri) e abbiamo constato un rapporto conflittuale con le persone responsabili delle strutture. Incomprensioni tra dirigenti e personale non sono rare in qualsiasi struttura sia pubblica che privata, in particolare nel settore dell’assistenza e della sanità. Per non far emergere il conflitto o per gestirlo positivamente è indispensabile innanzitutto la fiducia reciproca e in particolare una autorevolezza riconosciuta in chi dirige. Se invece questa auctoritas viene messa in discussione, allora il conflitto non trova una via d’uscita e può sfociare nelle dimissioni e nella fuga».

La presidente Nesler spiega che alla radice del disagio vi è la mancanza d’autorevolezza in chi dirige: «Spesso l’infermiere non sopporta, a ragione, di essere coordinato e diretto da figure professionali che hanno una preparazione e una formazione di livello inferiore al suo. Ricordiamo infatti che un infermiera professionale ha in tasca una laurea triennale di tipo universitario (Claudiana) che le permette di rispondere a tutte le necessità dell’assistito, dalla riabilitazione alla verifica dell’efficacia della terapia, alla dieta. Insomma oggi un’infermiera è perfettamente in grado di valutare e decidere da sola. Per questo si aspetta e chiede con sempre più forza che ad assumere un ruolo di responsabilità all’interno delle case di riposo sia una persona che abbia almeno la sua stessa qualifica».

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