Castel Rafenstein ritorna ai bolzanini: il restauro è finito

I lavori durati quattro anni: liberato da tonnellate di detriti. Trovati lo stemma dei Wolkenstein e la stanza delle colonne


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «Adesso vi racconto qualcosa dello Schloss che pochi conoscono». Helmut Rizzolli, storico assessore ai castelli, tempra da commerciante del Dorf ma addolcibile dalle vicende patrie, tiene ancora chiuso dietro di lui il cancello del cantiere . Oltre, c'è Rafenstein finalmente restaurato. Meglio: consolidato. L'ultimo baluardo bolzanino prima delle forre della val Sarentino. Una rovina. La Heimatschutzverein di cui Rizzolli è presidente, ci lavora dal 2009. E per i difensori della storia sudtirolese era un debito d'onore: Rafenstein, infatti, è anche l'ultimo castello patrio non risanato. Come lui nessuno. Ma è un castello dai destini incrociati.

«Sapete chi gli ha dato il colpo di grazia? Noi sudtirolesi». Molti credevano che ci fossero gli Schützen dentro a difendersi, nel 1797, durante il primo assalto napoleonico al sacro suolo imperial-regio-tirolese. E che fossero stati i francesi a prenderlo a cannonate. E invece no: «I bersaglieri tirolesi - racconta Rizzolli- arrivarono da là dietro, da San Genesio. Oltre il crinale che si vede dalle mura. Dentro Rafenstein c'erano i napoleonici che si erano appena messi comodi a Bolzano».

A Bolzano, come nelle altre città, erano stati accolti bene. Ma nelle città c'era la gente che aveva studiato. Che fremeva per le possibili novità che Napoleone avrebbe portato sulla canna dei suoi fucili. Era dalle montagne che sarebbe arrivato il pericolo. E infatti arrivò. Le cannonate dei tirolesi affiancati dagli austriaci colpirono tutta la parte nord del castello. Era iniziata la "battaglia di San Genesio".

Non è stata Austerlitz. Al confronto, una scaramuccia. Ma è bastata per dare il colpo di grazia a Rafenstein. Così, quasi a sanare i danni di quelle palle sudtirolesi del 1797, i sudtirolesi di oggi si sono messi a coprire le ferite. In quasi quattro anni sono state asportate tonnellate di pietre, rimossi infiniti metri cubi di detriti. Perchè questo era diventato il castello: una discarica a cielo aperto. Qualche bolzanino che ci saliva in gita, arrancando per la ripidissima salita che parte dalla funivia a valle.

La rovina era anche il fascino di Rafenstein. Ma che deve restare dov'è. «Anch'io sono affascinato. Magari perchè amo Piranesi. Ma adesso è un'altra cosa». Le pietre sono consolidate, i tramezzi rinforzati sotto la direzione dell'architetto Benno Weber (che è anche vicepresidente dell'Heimatschutzverein) affiancato dalla sovrintendenza e dal geometra Diego Delmonego. Si è scavato per quattro metri tra ogni genere di detriti, per arrivare al piano calpestato originario, quello del cortile interno.

Una storia complicata dentro quelle mura. Cominciata con un vescovo di Trento. Era il XIII secolo e sua eminenza Friedrich von Wangen era più preoccupato dagli affari terreni che non da quelli celesti. E il suo cruccio era controllare tutti i traffici che collegavano il sud (Bolzano) al nord. Proprio sotto la rocca passava allora un'importante via di comunicazione e, dunque, via alla fortificazione. Prima una piccola torre, poi un palazzo, poi, nel XVI secolo l'ala sud. E infine nel XVI secolo i lavori più importanti, con la proprietà che era già passata da Franz von Ravenstein ai Weinecker e quindi ai Wolkenstein. E proprio qui, a Rafenstein, intorno al 1600, Sittich von Wolkenstein, il feudatario, redasse la sua Landesbeschreibung von Tirol, la "Descrizione storico-statistica della contea del Tirolo".

Da allora, una lenta decadenza. Finchè, nel XIX secolo venne abbandonato. Grandi famiglie in crisi ma anche una novità fiscale: una tassa "sui tetti". Chi li aveva pagava. E allora, hanno pensato i castellani ormai imborghesiti, meglio non averlo. Sia il tetto che la tassa. Senza tetto il castello si è a poco a poco ripiegato su se stesso fino a diventare lo scheletro che è ora.

I lavori sono stati una fatica ma anche una sorpresa. La prima è stata uno stemma. Sono i Wolkenstein che hanno lasciato ancora una loro traccia. Uno stipite elegante e una data, sfuggita ai crolli e alle cannonate sudtirolesi. Poi, mano a mano che procedevano gli sgomberi, è tornata alla luce la "stanza delle colonne". Quasi come a Mareccio. Un ambiente che si apre a fianco del grande cortile interno. Con due colonne che ora occhieggiano sugli stipiti. Oltre, anche una piccola cappella, finalmente chiusa da un tetto. E adesso?

"Adesso si ragiona" dice Rizzolli. Forse si coprirà un altro locale per poter ospitare incontri ed eventi. Il castello sarà ancora un luogo da trattare con i guanti ma il più è fatto . «Il castello è un Landmark» scandisce Rizzolli. E' un segno potente nello skyline della città. E' lì da settecento anni a incidere sui contorni del nostro sguardo bolzanino. resterà lì, soltanto un poco più sicuro.













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