Centinaia per l'addio a Mirco. I genitori: «La sua malattia una battaglia per la vita»

Centinaia di persone con le lacrime agli occhi hanno lasciato il passo alla bara bianca trasportata da sei dei suoi più cari amici



di Riccardo Valletti
BOLZANO. Decine di manifesti affissi sui lampioni di Bolzano di prima mattina: «Ciao Mirco... X sempre uno di noi». Poi, poco prima delle 11, in centinaia hanno accolto il feretro di Mirco Martini nella Chiesa del Santissimo Rosario di Oltrisarco. Centinaia di persone con le lacrime agli occhi hanno lasciato il passo alla bara bianca trasportata da sei dei suoi più cari amici.

Se ne va così, in un affollato silenzio, il giovane di 33 anni che tutti ricordano pieno di vitalità, sorridente, entusiasta della vita. «Grazie di essere nato»: l'estremo saluto di Carla, sua madre, dal pulpito. Il papà Enrico da due giorni è come assente, tutti insieme fino all'ultimo avevano tenuto duro, si erano stretti ancora di più, avevano lottato come un solo uomo contro il tumore di Mirco, ora c'è spazio solo per il dolore.

Michela sua sorella, infermiera al San Maurizio, racconta che era proprio Mirco a non volerne sapere di darsi per vinto: «Non voleva che piangessimo, che non ci perdessimo d'animo». Ha lottato con le unghie Mirco. Non voleva mollare. Un leone. «Diceva sempre "che mi diano qualsiasi veleno purché mi faccia guarire" - racconta Michela - e invece radio e chemio non facevano effetto». Una battaglia per la vita durata un anno e mezzo, iniziata con un neo sul collo.

«Alla prima visita gli avevano consigliato di tenerlo sotto controllo - racconta sua madre con il tono di voce di chi ha ripetuto tante volte questa triste storia - poco dopo è andato in vacanza a Santo Domingo e al ritorno il neo si era rotto, forse per il troppo sole». Poi la sequenza di visite, la diagnosi di melanoma, la prima operazione a Milano. «Gli fecero un taglio da 45 punti di sutura, per ripulire tutta la zona tra la mascella e la spalla».

Ma le prime radioterapie e chemioterapie non sortiscono nessun effetto. «Siamo tornati a Milano quattro mesi fa per il secondo intervento, ma ormai il tumore si era allargato al resto del corpo». Inizia la terapia del dolore, le cure palliative al San Maurizio. «Circa un mese fa ci fu la prima crisi epilettica, poi è progressivamente peggiorato».

Poi l'ultimo ricovero, pochi giorni prima della sua morte. «Andava a fare la terapia del dolore e non è più tornato», conclude Carla. La famiglia gli si era stretta intorno, aggrappata alla sua forza. «Abbiamo lottato con lui, tutti insieme, non ci siamo pianti addosso, e gli sfoghi li lasciavamo a casa prima di andare da lui in ospedale», racconta Michela, che l'ha assistito notte e giorno fino alla fine.

«Speriamo che da lassù abbia visto la cerimonia, che senta tutto l'affetto che gli abbiamo trasmesso e che riposi in pace», sospira Carla. Una lunga coda silenziosa ha sfilato davanti al feretro, per l'ultima carezza al legno su cui era poggiata una foto di Mirco sorridente. Poco più avanti la maglia col numero 4 della sua squadra di pallone, e tanti fiori e nastri. «Oggi non celebriamo la morte - ha detto il sacerdote - ma la vita immortale». In prima fila, di fianco a Michela, piangeva Roberta, la fidanzata di Mirco.

«Gli è stata accanto con grande forza», dice Michela. Poi il pensiero va a tutti gli amici che hanno partecipato alla cerimonia, che sono stati vicini al loro ragazzo, alla Banca Popolare dove lavorava, all'associazione sportiva di Oltrisarco e alla squadra di Pollini. «Un ringraziamento infinito va al San Maurizio - aggiunge la madre Carla - all'oncologia e al reparto cure palliative, senza l'aiuto delle dottoresse Lusso e Gapp e del dottor Bernardo. Non saprei come avremmo fatto senza di loro». E poi ancora alle infermiere Donata, Elisabeth e Lisi, che "sono state un grande sostegno anche morale e psicologico, sempre presenti nei momenti difficili. Le ringraziamo a nome di Mirco".

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