Ambiente

Clima, da 65 associazioni uno stop a traffico e metano 

Presentate le richieste alla Provincia di Climate Action: «Più impulso alla mobilità verde. Serve subito una riconversione di turismo e agricoltura verso modelli ecosostenibili»


Paolo Campostrini


BOLZANO. Altroché “Klimaland”. L’Alto Adige inciampa, frena e rincula quando si tratta di fare i conti con l’emergenza climatica. Una prova? Gli obiettivi del piano clima 2011 non sono stati raggiunti. E così, per attenuare l’impatto con un risultato non omogeneo rispetto all’immagine che si vuole dare di questo territorio, l’orizzonte è stato posticipato di dieci anni. E, nel mentre, il turismo invade ogni angolo di prato, le tangenziali (tranne che a Bolzano per la verità…) nascono come funghi anche nei più sperduti paesi, nessun ticket per le auto è in vista, le valli ospitano funivie e grandi parcheggi a ridosso dei boschi, le autostrade soffocano. Che serve allora? Un cambio di passo. «Per farlo abbiamo individuato 12 punti su cui agire» annuncia Climate Action, un “motore” di riscaldamento non del pianeta ma delle coscienze che ha messo in azione 65 organizzazioni e raccolto duemila firme per una ricerca lunga molti mesi al termine della quale si è costruita una piattaforma di proposte per la politica.

«Partendo da azioni individuali e quotidiane per arrivare a strategie realmente impattanti rispetto all’emergenza climatica» hanno spiegato ieri Zeno Oberkofler, David Hofmann e Majda Brezelj. Che sono la prima linea di fila di un piccolo esercito il quale immagina che una vera rivoluzione per la salvaguardia del pianeta debba partire dal basso. E che dal basso, dai cittadini, debba poi essere controllata rispetto alle scelte che è chiamata a compiere la Provincia e le istituzioni. «Siamo forse le ultime generazioni - hanno detto - che hanno ancora una possibilità realistica di evitare un collasso ecologico totale».

Partendo da dove? Da una serie di cose concrete. Da tradurre in scelte politiche non più in proclami per il marketing territoriale. Eccole.

1)Arresto immediato dell’espansione della rete del gas metano. E dunque, sul piano energetico e dell’edilizia, un massiccio sviluppo del fotovoltaico riconsiderando i regolamenti attuali, immissione di energia geotermica, solare e del biogas per sopperire ai vuoti conseguenti nel riscaldamento degli edifici.

2) La mobilità, responsabile del 42% delle emissioni, va ridisegnata riducendo drasticamente le necessità di trasporto individuale. Muovendosi di conseguenza nella riduzione degli investimenti per le infrastrutture stradali, con l’incentivazione del lavoro domestico, con la conversione dei parcheggi su strada urbani in ciclabili. Con una formula applicata ovunque: niente più strade senza piste ciclabili. Ed entro il 2030 una espansione del trasporto pubblico pari al 40% e che quindi ogni anno il 3% degli automobilisti dovrà passare al pubblico trasporto. Più intermodalità, bike sharing con anche uno scenario di trasporto pubblico gratis per tutti.

3) Il turismo va totalmente riconvertito, dirigendo “politicamente” il traffico turistico verso le città, alimentatori da “ultimo miglio”, restrizioni combinate ad incentivi, app per prenotare i trasporti, guerra alle emissioni di co2 nelle strutture ricettive, alberghi e ristoranti. «E mai più misurare solo con parametri quantitativi i progressi e i costi sociali» invoca la Climate Action.

4) Nell’agricoltura e nell’alimentazione ridurre molto l’importazione di bestiame e mangimi, promuovere coltivazioni di ortaggi e cereali, diversificare le coltivazioni, ridurre le perdite alimentari. E per la gastronomia muoversi su dati scientifici, informazione sull’origine dei prodotti, vietare campagne su cibi animali processati. E infine uno scenario da perseguire che tenga insieme tutto questo: la salvaguardia dell’eco sistema e della sua biodiversità. «Ad esempio restituendo alla montagna - è stato detto ancora - i suoi silenzi e i suoi spazi non costruiti, fermando il degrado delle aree agricole, espandendo i boschi». E, soprattutto, non creare nuove infrastrutture. Ma questo, sembra per l’Alto Adige il traguardo più difficile.













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