Da operaio a manager, la corsa di Stefano Dametto

Il diploma alle Iti, la gavetta alla Seeber, ora guida la “Zml” con 600 dipendenti


di Antonella Mattioli


BOLZANO. A 21 anni, quando ha iniziato a lavorare, faceva l’operaio, oggi a 51 è direttore vendite e general manager della “Zml industries” spa di Maniago, in provincia di Pordenone, azienda - con 600 dipendenti e un fatturato di 180 milioni l’anno - leader nella pressofusione dell’alluminio, della fusione di ghisa grigia e nella produzione di filo in rame smaltato. Da gennaio è anche presidente del Nucleo industriale di Pordenone, ente di sviluppo che raggruppa un centinaio di aziende e circa 3 mila dipendenti. Stefano Dametto, bolzanino, padre di due ragazzi di 16 e 18 anni, è uno dei dieci nuovi maestri del lavoro nominati, il 1º maggio, dal commissario del governo Elisabetta Margiacchi.

Come si fa a passare da operaio a general manager?

«Servono costanza, fortuna e non bisogna mai tirarsi indietro. Non so però se, iniziando oggi, avrei potuto fare la carriera che ho fatto».

Perché?

«Perché in 30 anni è cambiato tutto. E in particolare dopo la crisi del 2008-2009. A me è stato dato il tempo di crescere e farmi le ossa. Oggi non è più così: il mondo del lavoro è diventato frenetico, i mercati cambiano rapidissimamente e questo richiede tempi di reazione altrettanto veloci. Si cercano manager in genere intorno ai 35-40, già “fatti”, ovvero con un importante bagaglio alle spalle. Perché si vuole andare il più possibile sul sicuro. Un’azienda che già deve fare i conti con una serie di variabili e ha margini di guadagno sempre più ridotti, deve cercare di ridurre al minimo gli errori».

La scalata dov’è iniziata?

«Alla Seeber di Laives».

Come mai proprio lì?

«Avevo in tasca il diploma di perito elettronico conseguito all’Istituto Galilei e, finito il militare, andavo a raccogliere mele dalle parti di Laives. Un giorno sono passato alla Seeber a chiedere se per caso cercassero un operaio. Mi hanno detto di presentarmi il giorno dopo e mi hanno assunto».

Com’è arrivato alla “Zml industries”?

«Avevo già fatto carriera alla Seeber: ogni paio d’anni, ho ottenuto una promozione. È così che mi sono fatto le ossa. Nel 2006 una società specializzata nella ricerca di cervelli mi ha proposto di andare a fare il direttore delle vendite alla “Zml Industries”: ci ho pensato un po’, poi ho accettato. Da nove anni faccio il pendolare: tra Bolzano, dove vive la mia famiglia, e Maniago, già famosa per la produzione di coltelli, divenuta sede di un importante centro industriale dopo il disastro del Vajont».

Quando lei assume qualcuno a cosa dà più importanza?

«Guardo il curriculum ovviamente, ma poi determinanti sono altre cose».

Tipo?

«Passione, entusiasmo, consapevolezza del proprio valore, che non significa arroganza, e una buona dose di ottimismo».

Rispetto a quando ha iniziato lei, come sono i giovani di oggi?

«In genere più preparati, perché spesso hanno alle spalle l’università. Ma, parlo sempre in generale, con meno voglia di soffrire. E questo è un po’ colpa anche di noi genitori che vorremmo sempre spianare loro la strada».

Questo a fronte di un mondo del lavoro sempre più competitivo che non fa sconti a nessuno.

«È così. Ormai ci si confronta con i mercati internazionali. I nostri principali concorrenti sono turchi, spagnoli e cechi. Esportiamo il 70% del prodotto. Dopo la grande crisi del 2008 si vive in una situazione che cambia in continuazione, per cui i tempi di reazione devono essere sempre più stretti. Anche un’azienda leader del settore come la nostra ha un pacchetto ordini che va da un mese ad un massimo di tre. Ciò significa che da una parte bisogna navigare a vista e dall’altra cercare, nel limite del possibile, di prevedere e anticipare i cambiamenti».

Il 2008 rappresenta lo spartiacque tra “prima” e “dopo”.

«Purtroppo sì. Ricordo quando nell’agosto del 2008 litigavo con i clienti, perché eravamo pieni di ordini e volevano che si lavorasse anche sabato e domenica. Un mese dopo, quando la crisi ha iniziato a mordere, hanno cancellato tutti gli ordini».

Siamo fuori dalla crisi?

«Dal 2009, almeno per noi, le cose hanno cominciato ad andare meglio, ma a mio avviso dobbiamo abituarci a convivere con continue piccole-grandi crisi. Adesso si prevede una ripresa del Pil dello 0,7%, un valore così basso che basta un niente per passare da un segno leggermente positivo ad uno negativo».

Quali sono le vostre strategie di fronte a situazioni in continuo movimento?

«Diversificare i nostri prodotti in modo da servire più settori: dall’auto agli elettrodomestici, alla meccanica in generale, ai compressori. E andare sempre alla ricerca di nuovi clienti».

Il Jobs Act, il pacchetto di misure a sostegno del lavoro, servirà a ridurre la disoccupazione?

«Non dico che non servirà, ma le assunzioni si fanno innanzitutto se c’è lavoro. Io se penso di non avere commesse, non dormo la notte: sento la responsabilità nei confronti dell’azienda e dei lavoratori».

Cosa servirebbe quindi?

«Agevolazioni fiscali e riduzione dei costi dell’energia che sono i più salati d’Europa».

Mai pensato di spostare l’azienda all’estero?

«Ogni settimana arrivano offerte molto interessanti in particolare dalla Carinzia, ma non è facile spostare un’azienda come la nostra. Si potrebbe semmai trasferire la sede fiscale».

Quante ore lavora al giorno?

«Dieci-dodici. Mi rilasso andando a correre (ha militato nella Nuova Atletica Alto Adige, ndr), la mia passione, magari alle dieci di sera».













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