Dalla: io e De Gregori, insieme sul palco e lontani nella vita

Venerdì a Bolzano, al Palasport, portano sul palco «Duemiladieci work in progress»



BOLZANO. Quella di Dalla e De Gregori è una strana coppia. Uno è alto, l'alto è basso, uno era biondo e ora non lo è più, l'altro non lo era e ora lo è, uno apparteneva alla «scuola bolognese», l'altro a quella «romana». Ma a 30 anni da Banana Republic sono di nuovo insieme.
Insieme sullo stesso palco, a condividere gioie e dolori di un concerto a due voci e quattro mani. E due pubblici. Venerdì a Bolzano, al Palasport, portano sul palco «Duemiladieci work in progress», questo il titolo del concerto, e due tra i più significativi cantautori della scena italiana, quelli che il segno lo hanno lasciato, bello e indelebile. Qual è la misteriosa alchimia che viene a crearsi una volta che sul palco si accendono i fari? Lo abbiamo chiesto a Lucio Dalla. «La nostra è la coppia meno equilibrata che possa esistere al mondo, quando siamo fuori dal palco. Infatti ci frequentiamo pochissimo. In trent'anni saremo stati a cena insieme un paio di volte. Lui arriva al concerto con la sua macchina e io con la mia. Fuori dal palco non ci frequentiamo e ci vediamo quando è assolutamente necessario. Così non abbiamo problemi».
Perché se no sarebbe difficile collaborare con Francesco De Gregori?
Sì, lui certi giorni è gentile e simpatico, nel giro di un'ora diventa intrattabile. Lui è molto schivo, non vuole rilasciare interviste e in pratica le pubbliche relazioni di questo tour devo farle io. Praticamente non condividiamo niente e abbiamo caratteri completamente diversi. Siamo come Pluto e Topolino. Ma forse è proprio questa strana miscela di due personalità tanto diverse che esplode come per magia su un palco.
Sul palco cosa prendete uno dall'altro?
Io so cosa ho dato a Francesco: la possibilità di far capire a me e al pubblico che lui sa cantare, anzi che è un grande cantante. Probabilmente si sente stimolato, sia dal nuovo pubblico che dalle nuove canzoni. Lui a me dà le sue canzoni che io preferisco, "Santa Lucia" e "La leva calcistica", che non sono forse quelle più famose, più popolari presso il grande pubblico, ma sono quelle che io ho sempre amato.
Passiamo al titolo, «Work in progress», sia del tour che del disco che avete inciso insieme. Futuri sviluppi?
Questo era un work in progress per noi quando abbiamo iniziato questa avventura. Avevamo programmato cinque o sei date. Adesso siamo arrivati al 75esimo concerto, e alla fine diventeranno un centinaio. Ogni concerto è un work in progress, perché noi aggiungiamo e togliamo canzoni a ogni concerto e cambiamo sempre qualcosa all'interno delle stesse canzoni. Rispetto al tour estivo, ad esempio, abbiamo aggiunto "Alice", "Generale", "Tu non mi basti mai" e altre ancora". Io cerco di non fare "4 marzo" o "Piazza grande" perché le canto da decenni e sono quelle che il pubblico si aspetta. Ma non sempre riesco a evitarle.
Adesso Bolzano. Conoscete questo pubblico?
Per me è come quello trentino. O sbaglio? Nel Trentino ci siamo stati spesso, sia io che De Gregori. A Bolzano manco da anni. Ma conosco la zona e la gente. Soprattutto conosco Chenot e la sua clinica meranese. Sono stato io che ho portato lì Luciano Pavarotti e tanti altri. Lì ho conosciuto anche Gustav Kuhn. Abbiamo concepito insieme anche una specie di opera lirica, ma sia io che lui eravamo troppo indaffarati e il progetto si è arenato lì. Ma chissà che, futuro, non riusciamo a realizzarlo.
Intanto prosegue la prevendita dei biglietti per l'evento bolzanino: a Trento Centro S. Chiara e Radio Dolomiti.

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