Dalla lingua televisiva a quella di Twitter

Come cambia l’italiano: il problema dell’alfabetizzazione digitale dei giovani ed i risvolti scolastici


di Carlo Bertorelle


di Carlo Bertorelle

Presentato venerdì sera il terzo volume – dedicato ai linguaggi dei media - della serie Lingua e cultura. L’italiano in movimento, curato dalla Accademia della Crusca in collaborazione con l’Area pedagogica del Dipartimento Istruzione e formazione e con l’Ufficio Cultura italiana della Provincia. Molto diverso – rispetto a quello di arcigno guardiano della purezza linguistica – il ruolo oggi della cinquecentesca Accademia fiorentina che per secoli ha fatto baluardo alla lingua di Dante. Non per questo Stefania Stefanelli e Valeria Saura, autrici della pubblicazione, hanno potuto evitare di lanciare un grido di allarme di fronte a certe pretese egemoniche dell’inglese e hanno espresso perplessità anche dinanzi alla recente decisione del Politecnico di Torino di svolgere lezioni, esami e tesi delle lauree specialistiche e dei master solo in inglese. Decisione che appare ingiustificata data la ricchezza della produzione scientifica italiana che si muove oggi in molti casi a livello di eccellenza usando diversi strumenti di comunicazione.

E così il fronte delle ricerche dell’Accademia è oggi impegnato a studiare l’evoluzione storica e contemporanea della lingua, nelle sue diverse varianti date dall’uso dei parlanti e dai linguaggi che si trasformano quotidianamente nei diversi ambienti della società. Registri e stili diversi, alto e basso, e soprattutto analisi per favorire una sempre maggiore consapevolezza sulla lingua che parliamo e sul significato dei messaggi che passano nella comunicazione. Studi e ricerche che possono tornare di grande utilità anche per la pratica didattica nelle scuole, dove sempre più il confronto tra la lingua letteraria e formale e i linguaggi dell’oralità dei giovani è una sfida da giocare con passione. Nei due anni precedenti i laboratori con gli insegnanti avevano avuto per tema i «linguaggi artistici» (ad esempio teatro, cinema e canzone d’autore) e i «linguaggi giovanili», che avevano messo in luce le varietà linguistiche adottate dai giovani, sempre connotate da una forte funzione identitaria, quasi un gergo, quello usato nei cellulari, nei messaggi dei social network, nelle chat, nelle e-mail. La contaminazione con questi linguaggi non deve fare paura, dice Claudia Provenzano, responsabile dei corsi di formazione inseriti nel progetto dell’«Italiano in movimento»: i ragazzi a scuola si muovono spesso al confine tra oralità e scrittura e gli insegnanti anzitutto dovrebbero conoscere questi linguaggi per poterne discutere criticamente coi giovani e saperli «governare» in modo sempre più cosciente. Un timore che manifesta anche Vera Gheno, autrice del capitolo sui linguaggi della rete, quella che più costringe ad un rapporto interattivo: nonostante la diffusione tra i giovani più ampia, ripetto a tutti i paesi europei, degli smartphone, i telefonini che offrono funzionalità avanzate di ogni genere, i nostri giovani sono certamente nativi digitali ma assai meno alfabetizzati digitali.

Nel testo raccontato l’altra sera (disponibile anche con un cd riassuntivo) si offrono molti materiali relativi agli usi linguistici più diversi, che possono diventare spunto per utili esercitazioni in aula, come il confronto tra la lingua del romanzo «Io non ho paura» di Ammaniti e la lingua della sua trasposizione cinematografica, o l’analisi del linguaggio delle soap opere televisive, tipo «Un posto al sole»… Sono solo degli esempi, in quanto gli altri capitoli relativi alla radio, alla televisione e ai diversi generi televisivi, scendono molto in profondità, si confrontano con la «paleotelevisione» degli anni Cinquanta e Sessanta, e ci stimolano a verificare anche personalmente le impressioni accumulate nella nostra esperienza di utenti di questi media.

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