TRENT'ANNI FA

Dario Daini, dalla caccia ai mafiosi a corazziere del presidente Einaudi 

Il personaggio. Appena arruolato venne destinato ai Carabinieri a cavallo, e da lì al Colle. «Mi spedirono anche in Sicilia dopo l’uccisione del bandito Giuliano». Ha fatto la scorta al cardinale Ernesto Ruffini. Poi il ritorno a Bolzano nei vigili urbani, e la fine carriera come usciere


Alberto Faustini


C’era una volta Bolzano. Ripubblichiamo oggi la testimonianza rilasciata nel 1991 al nostro direttore Alberto Faustini da Dario Daini, corazziere del presidente della Repubblica Luigi Einaudi al Quinale. E poi nel corpo dei vigili urbani di Bolzano, e infine usciere in Comune. Se volete rileggere una storia, scriveteci a: bolzano@altoadige.it

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Quando la tenuta è quella del corazziere, il fascino della divisa pare addirittura sublimare chi la indossa. E guardando le vecchie foto di Dario Daini sembra di naufragare nei suoi occhi lucidi, di leggere interi racconti solo seguendo il suo sguardo. Ha fatto il corazziere quando al Quirinale c’era Einaudi. Era carabiniere a cavallo nella Palermo che si risvegliava dopo il periodo buio che portò la firma del bandito Giuliano. Col suo cavallo e la sua divisa perfetta, Daini ha attraversato pieghe di storia. Ha visto una Roma in fiore. E una Bolzano piccina piccina, quando, bambinetto, andava alla regina Elena, elementari dal sapor di leggenda. E quando, da vigile, girava in bicicletta. È rimasto, con dolcezza e con orgoglio, il ragazzo semplice di sempre. Un ragazzo che ha saputo crescere senza montarsi la testa e che avuto la capacità di non vivere di ricordi. Oggi è un nonno felice. Sessant’anni (nel 1991, ndr), sposato, tre figli, pensa a quando smetterà la divisa che ha indossato negli ultimi anni, quella di uscire del Comune, per dedicarsi solo alla sua nipotina.

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Ho vissuto tra le divise. E ben presto mi sono trovato ad indossarle. E che divise! Carabinieri a cavallo, corazziere…

A Rovereto, dove sono nato, ho passato i primi sette anni della mia vita. Nel ‘38 – ricorda Dario Daini – quando già sentiva nell’aria l’odore della guerra, papà che era carabiniere, venne chiamato alla Legione di Bolzano. E noi lo seguimmo. Appena scoppiò la guerra, però papà fu spostato alla stazione di Denno, in val di Non. Ed è a Denno, dove quando smettevo di studiare facevo l’autista, che, dopo la guerra, ho deciso di arruolarmi. La scelta, a quel punto, era quasi ovvia: carabiniere, come papà.

Mi ritrovai subito a cavallo

Pensavo di poter lavorare con lui, ma la vita mi ha invece portato su una strada molto più lontana.

Appena entrato nei carabinieri, a Roma, in via 20 settembre, mi chiesero di entra nella “squadra” dei carabinieri a cavallo. Un maresciallo dei corazzieri mi notò e mi chiese di fare parte dei corazzieri.

È una soddisfazione difficile da descrivere. Entrare nei corazzieri era una cosa fantastica, carica di suggestione. Accettai con entusiasmo e io, che allora ero poco più che un ragazzo mi ritrovai al Quirinale, con il presidente Luigi Einaudi.

Un’esperienza esaltante. Eravamo tutti alti un metro e novanta e le nostre divise erano fatte a mano. Le sciabole e le corazze erano pulite con amore dall'armiere e ogni cosa era perfetta. A cominciare dagli stivaloni, che erano di un cuoio molto spesso e che pesavano oltre 14 chili. Il presidente della Repubblica era orgoglioso di noi. E noi lo eravamo del nostro lavoro. Prima di fare il corazziere, nel 1950, sono stato anche a Palermo, come carabiniere a cavallo.

Era da poco morto il bandito Giuliano e la situazione era ancora molto delicata. Nella capitale ero spesso impegnato a nche nelle cerimonie che organizzava il cardinale Ernesto Ruffini. Sì, il cardinale ci teneva ad avere due di noi accanto a lui in ogni manifestazione. E io ho lavorato a lungo per lui. A quei tempi, quando ancora pensavo di sistemarmi a Roma , una città che ho sempre adorato, mi sono messo in testa di fare l'usciere e di optare dunque per un lavoro più tranquillo. Ho presentato la domanda alla Camera e al Senato.

Nei vigili urbani

Nel 1954 mia madre mi propose però di lasciare i carabinieri per entrare nel corpo dei vigili di Bolzano. E cosi, meno di due anni dopo, mi ritrovai nuovamente a Bolzano, nella città dove, piccolissimo, avevo frequentato alcune classi delle elementari, alle vecchie Regina Elena, ora Dante Alighieri.

Nel 1956 entrai ufficialmente nel corpo del vigili. Rimpiangevo, soprattutto all'inizio, la mia corazza e gli amati cavalli, e anche Roma, ma ben presto scoprii una Bolzano piena di fascino. Certo, rispetto alla mia Roma era un paesello, ma un paesello accogliente. Vivibile. Appena passato di ruolo mi sposai e misi su famiglia: moglie, un figlio e due figlie, una delle quali mi ha regalato una bellissima nipote. Nipote che tento di andare a trovare tutti i giorni.

Una città piena di bici

All’inizio noi vigili andavamo di pattuglia in bici. Uno dei nostri problemi più grossi, nella Bolzano di quel tempo, era quello di fermare i cittadini che giravano con la bicicletta senza fanale. Di macchine ce n’erano davvero poche. Pochissime.

Anche nel turno di notte, quando giravamo principalmente per controllare che nessuno facesse rumori molesti o schiamazzi, ci muovevamo pedalando. Al mattino, di buon'ora, andavamo ad esempio ad attivare i semafori e la sera, sempre in bici, passavamo a spegnerli. Non c’erano nemmeno le radio, allora. E lavorare era dunque più difficile anche se i problemi erano oggettivamente ben diversi da quelli dei giorni nostri.

Mi sono molto affezionato al Corpo dei vigili urbani e mi trovavo bene con tutti: con i colleghi, ma anche con le autorità. Ma ho avuto un incidente con la moto, in servizio. E quando mi sono ripreso mi sono accorto che il lavoro di vigile, nelle mie condizioni, era troppo pesante. Sono stati tra l'altro proprio i medici a consigliarmi di passare a un servizio sedentario e ho iniziato allora a fare l’usciere, restando alle dipendenze del Comune.

Sono stato due anni in ragioneria e sono poi passato all’anagrafe, quando l'assessore competente, nonché vice sindaco, era Erich Buratti. Quando l’usciere dell’ufficio sanitario passò a fare il messo, mi chiesero di prendere il suo posto. Accettai. E da allora sono proprio li, all’ufficio sanitario di via Leonardo da Vinci. A pochi passi dalla strada che percorrevo da bambino per raggiungere le elementari. Ormai, però, è solo questione di tempo. Tra pochi mesi andrò infatti in pensione. E mi dispiace. In Comune infatti ho tanti amici, l'ambiente mi piace. E anche se non vedo l’ora di dedicarmi alla mia nipotina, sono un po’ triste.

I vecchi amici del Quirinale

Avrò forse più tempo per andare a Roma, a trovare gli amici che ho ancora al Quirinale. Ai miei tempi in Italia c’erano cento corazzieri. Siamo sempre rimasti amici e anche molto uniti.

E poco tempo fa il nostro raduno si è trasformato in una festa. Una bellissima festa. Ora i corazzieri sono duecento, ma questo corpo speciale dei carabinieri rimane ancora e sempre una grande famiglia. Una famiglia che mi ha dato molto. Una cosa sola mi spiace: sono l’unico corazziere dell’Alto Adige.

Potrebbe sembrare un onore e in parte lo è, ma mi spiace, quando ci sono le grandi cerimonie, non avere un collega, non poter inscenare una piccola parata. A quelle manifestazioni, però, non manco mai. L’Arma mi invita e io sono fiero di partecipare. Dovete sapere che per fare il corazziere non basta essere alti oltre 1 e 90, avere una vista perfetta ed essere in forma. Prima di proporti di entrare in questo corpo raccolgono informazioni fino alla settima generazione. E se ti chiamano è veramente un successo. Un successo che ancora sa farmi emozionare.

Onestamente non ho grandi rimpianti. Ogni tanto penso alla grande Roma e alla corazza con nostalgia, ma sono contento della mia vita. Forse... Sì, forse un piccolo rimpianto c’è: mi sarebbe piaciuto lavorare con mio padre. E una volta, quando venne a trovarmi a Palermo, riuscimmo anche a fare delle foto insieme, in divisa. Ma purtroppo è solo una foto e non la testimonianza di un periodo lontano in cui lavorammo insieme.

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