Dipendenza dalle Slot, 80 malati gravi

Sono in carico al “SerD”. La psicoterapeuta: «Chi gioca perde e per rifarsi si rivolge agli strozzini o si dà allo spaccio»


di Davide Pasquali


BOLZANO. Solo nei primi dieci mesi del 2012, in città i malati da gioco in carico al Servizio Dipendenze dell’Asl sono stati 80. Più uomini che donne, di norma con un’età superiore ai 50 anni. Ma l’ondata di ludopatici è attesa per il futuro, motivo per cui si deve fermare il proliferare delle slot. È il monito degli psicoterapeuti del SerD di via del Ronco guidato da Elio Dellantonio. Ci forniscono un quadro molto più preoccupante del temuto: «Chi gioca tanto perde tanto e chi è disperato è pronto a tutto». E così anche a Bolzano proliferano gli strozzini (a prestare soldi in alcuni casi sono addirittura i gestori dei bar); e per risanare i debiti qualcuno inizia a spacciare o a trasportare droga; e in questi ultimi anni le attività illecite si sono spostate nella gestione del gioco: legale, poco controllato, una manna per chi delinque. Lo racconta la psicologa Bettina Meraner. «Osservavamo il fenomeno da anni, ma ci occupiamo in modo sistematico di malati di gioco da tre anni. Senza aver fatto pubblicità o aver aperto sportelli ad hoc, nel 2010 in provincia abbiamo seguito 139 casi, saliti a 181 nel 2011, 74 dei quali solo a Bolzano. Quest’anno, a fine ottobre ne avevamo in carico 80».

Chi è il malato tipo?

«Più uomini che donne, di età superiore ai 50 anni. Giovani pensionati, gente senza lavoro, casalinghe, ma anche persone “normali”, anche con stipendi medio-alti. Le donne sono meno; non si conosce esattamente il perché. Forse dispongono di meno denaro e quindi rischiano meno di cascarci dentro. C’è inoltre da notare che i malati non si rivolgono a noi di loro spontanea volontà. Li portano i parenti, e le donne sono spesso più disposte ad accompagnare e a mettersi in gioco»

Quando ci si rivolge a voi?

«Quando la situazione è già difficile, quando c’è una forte richiesta di sanare un debito, quando in banca qualcuno nota movimenti di conto eccessivi. Il giocatore cerca di non rendersi conto, i familiari sono molto spaventati, si domandano “come mai non ci siamo resi conto di niente?”. A questo punto, le relazioni sono spesso già molto conflittuali, la moglie o il marito si sentono traditi: per mesi o anni il diretto interessato ha negato, coperto, cercato scuse, detto bugie. I malati stessi non sanno spiegarsi il perché abbiano perso il controllo».

Come si interviene?

«Purtroppo, per togliere la voglia irrefrenabile o per bloccare l’impulso, nel caso dell’azzardo patologico non abbiamo a disposizione farmaci come per le altre dipendenze. Il nostro staff, con sette psicoterapeuti, si serve ovviamente anche di centri privati convenzionati, psichiatri, assistenti sociali. La problematica è molto complessa, ma la maggior parte del lavoro è spiegare: come funziona il gioco, qual è la reale probabilità di vincita (in troppi non la conoscono e si illudono a dismisura), quali sono le modifiche a livello del cervello che favoriscono la compulsività. Poi coinvolgiamo i parenti, per la gestione dei soldi. L’unica è troncare di netto: smettere di giocare».

Senza soldi propri o di famiglia non si gioca più?

«Purtroppo non funziona così: qualche “amico” che concede un prestito si trova sempre; anche all’interno dei locali c’è qualcuno che anticipa».

Parla di strozzini?

«Ci sono anche qui. Secondo le testimonianze dei malati, ci sono anche dei gestori di locali, anche di bar, che anticipano, “aiutano”. A volte anche senza chiedere interessi, perché vedono il cliente abituale: “Ti mancano 50 euro? Dài che te li presto io”. E così i debiti salgono».

Le autorità sanno?

«Se non conosciamo i nomi e e non siamo testimoni diretti, dal Serd noi possiamo fare ben poco. Di certo il fenomeno globale è poco monitorato. Sappiamo anche di diverse situazioni, di persone che di per loro non erano ancora inserite nel circuito delle sostanze illegali, non erano dipendenti, non abusavano, però per risanarsi dai debiti si sono date allo spaccio o al trasporto di stupefacenti».

Il business dell’illecito però, in un certo senso si è spostato dove ora girano i soldi, dallo spaccio alla gestione del gioco.

«Esatto; fra il resto il gioco è un’attività lecita. E di fatto non ci sono controlli. Per dirne una: avete mai visto, all’entrata di una sala giochi, una guardia giurata chiedere la carta d’identità a un giovane? Chi è in grado, a occhio, di distinguere un sedicenne da un ventiduenne? L’impressione poi è che i Comuni siano stati lasciati soli».

La Provincia finora ha lasciato un po’ soli anche voi...

«Ci dovrebbero versare questo famoso 1,5% degli introiti del gioco da destinare alle attività di prevenzione e riabilitazione. Secondo i nostri calcoli, a noi spetterebbero circa 300 mila euro l’anno. Finora non si sono visti, e pare non arriveranno prima della prossima estate».

Basteranno o sono pochi?

«Ci servirebbero per curare fra i 30 e i 40 pazienti, solo a Bolzano ora ne abbiamo 80».

Però ancora ve la cavate.

«Nel gioco c’è un periodo piuttosto lungo di latenza prima che la dipendenza si sviluppi. Passano anche degli anni. Ora, non è tantissimo che le possibilità di gioco sono così tanto diffuse; le videolottery, che creano danni enormi, avranno un paio d’anni di vita. Se l’afflusso di dipendenti rimane così com’è, ce la caviamo. Se dovesse aumentare, col personale che abbiamo adesso non ce la faremmo più».

Si può correre ai ripari?

«Si deve ridurre, da subito, l’accesso al gioco. Le macchinette devono essere meno diffuse. Bar e tabacchini devono essere ripuliti. Chi entra al bar va lì perché è un frequentatore del bar. Ma se si trattiene a lungo, delle ore, si mette pure a giocare. Non si va al bar con l’intento di giocare. Una sala giochi oppone una soglia d’entrata più alta: non entri se non vuoi giocare. E anche la società civile potrebbe fare molto: per esempio non affittare i muri a chi apre sale giochi o bar con le slot».

Chi altri coinvolgere?

«Stiamo pensando di proporre degli incontri anche con le associazioni dei medici di base. Perché i giocatori spesso hanno anche dei correlati organici: iniziano ad avere problemi del sistema cardiovascolare, perché c’è sempre questa tensione, questa eccitazione, che a lungo andare produce dei danni, anche a livello gastro-intestinale».

Insomma, durante l’anamnesi il medico potrebbe domandare al paziente anche “ma lei, non è che gioca”?

«Tutto può servire, io sono fiduciosa. Anche perché contro il gioco purtroppo non ci sono limitazioni. Al bar non si può servire da bere a un ubriaco. Ma chi ti ferma, se giochi troppo?»

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