Durnwalder e la fatica di governare

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


È da settimane che si manifesta la fatica di governare di Durnwalder. Adesso il presidente vuole riunire in clausura la sua giunta per discutere di toponomastica. Un gesto che invece di mostrare la forza del suo governo, ne rivela la debolezza. Come ha fatto la sua uscita sulle visite private in ospedale: quando si è reso conto che le lunghe attese per gli esami clinici mostrano le falle della sanità in l’Alto Adige, è sceso in campo cercando di scaricare la responsabilità sui medici.

Così ha sviato l’attenzione dal vero problema, vale a dire l’impantanarsi della sua «riforma», segnalato con lucidità dal nostro Mauro Fattor, e il delinearsi di una sconfitta politica del suo assessore, Theiner. Non deve sfuggire un elemento essenziale: Theiner è anche il segretario della Svp, la crisi della sua riforma è la crisi del capo della Svp alle prese con uno dei nodi decisivi del governo locale.

Ancora una volta, Durnwalder è intervenuto perché ha capito che la sua squadra non gioca bene e non segna un goal. Guarda caso, proprio come l’Alto Adige Calcio. Se ci volgiamo all’aeroporto, alla cittadella di Laives, al bilinguismo, all’economia e alla sfida della modernizzazione, per ogni capitolo potremmo scrivere la stessa storia. Su quasi ogni questione importante ci incagliamo sulla difficoltà della politica e della giunta provinciale di trovare soluzioni soddisfacenti e una sintesi dei diversi interessi e identità che agiscono sullo scenario sociale. Così il rischio di sconfitta politica di Theiner diventa contemporaneamente il simbolo della crisi Svp e la spia dei problemi della giunta della quale fa parte. Lo stesso Durnwalder costruisce la sua opposizione.

Anzi, questo è uno dei pochi tratti moderni dell’amministrazione provinciale: le decisioni che si vogliono porre in essere creano l’interesse che gli si oppone. Sapevamo che il Comune di Bolzano è malato, la novità è che anche la Provincia non sta molto bene. Potremmo dire che Durnwalder s’impegna a «declinare crescendo», perché coesistono nella sua azione una espansione quantitativa con una seria perdita di efficacia qualitativa e politica. Qual è la ragione di questo avanzare indietreggiando?

Secondo il professore Fazzi la malattia consiste nella debolezza della leadership: il nostro sociologo chiama direttamente in causa Durnwalder e ne mette in risalto il suo profilo di uomo del Novecento, quindi del passato, sempre meno adatto a gestire i tempi nuovi. Il professore Palermo, nell’altra analisi che pubblichiamo, concorda sui limiti della leadership, ma assegna un ruolo decisivo al mancato ridisegno istituzionale dell’Autonomia che ha permesso a una impalcatura giuridica preziosa nel passato di trasformarsi in una gabbia che blocca il processo modernizzatore.

E vede nella mancata corrispondenza del processo decisionale alle esigenze della società il nucleo delle difficoltà. E’ difficile aggiungere qualcosa alle analisi di due intellettuali così prestigiosi. Il punto di crisi, a mio avviso, sta nel cortocircuito del rapporto tra la delega politica e il volto che cambia della nostra società. Il nostro Paolo Campostrini ha osservato che la politica in Alto Adige non fa i conti con la crisi della delega e con il nuovo cittadino che avanza. In effetti, fino a ieri i bisogni, le domande, le istanze della società confluivano nel bacino della delega che si pensava in grado di elaborare soluzioni sufficientemente efficaci da diventare «pubbliche», vale a dire generali.

Oggi non è più così. Anche in Alto Adige la società esprime domande differenziate, bisogni di diversa natura, ed è sempre più arduo rispondere con formule semplificatrici. Anche perché queste spinte non sono più segnate solo dall’origine etnica, italiane o tedesche o ladine, ma spesso dividono trasversalmente i gruppi linguistici. La scuola è diventata il banco di prova di questa nuova realtà: la necessità di una scuola bilingue, che prefigura l’obiettivo di una società bilingue, nasce oggi nella scuola italiana, ma contagia il mondo tedesco urbano più avanzato. La prova viene dalle posizioni aperte e coraggiose delle imprese, come si sa a larga maggioranza tedesche.

La Svp e la politica italiana si trovano a dovere fare i conti con una complessità crescente, con una società composta da molte minoranze, che pesano sui meccanismi rappresentativi. Anche qui un nuovo rapporto si deve instaurare tra soggetto collettivo e individuale, che tenga conto della coesistenza di domande universali e rispetto di diversità particolari. Per Durnwalder è sempre più difficile fare la sintesi tra ciò che è generale (come l’esigenza oggettiva di un aeroporto “vero”) e ciò che è particolare (le resistenze dei contadini e dei comuni limitrofi), tra istanze territoriali e nazionali (come sulla toponomastica), tra interessi e valori (la modernizzazione che chiede più spazio al mercato, all’individuo, ai suoi diritti). Il capo del governo locale risponde tentando di ri-territorializzare i processi di decisione, come ha dimostrato con la commissione sull’aeroporto, perché su questo terreno si sente più sicuro e in grado d’imporre la sua gerarchia.

Ma i risultati rischiano di essere deludenti, perché i soggetti coinvolti capiscono che non hanno potere di decisione, accumulano insoddisfazione rispetto a una furbizia procedurale che li neutralizza, e contestano. Non sarebbe stato meglio compiere una scelta che assegni con chiarezza la priorità all’interesse generale? La rappresentanza non funziona come unico canale di trasmissione: la sua logica aggregativa non fa differenze, mentre i cittadini oggi chiedono che si faccia la differenza. E pretendono che la società non sia più considerata solo degli insiemi divisi dall’etnia o da aggregazioni di interessi diversi, fissati una volta per tutte. L’antiquato protezionismo della rete commerciale sta mostrando crepe vistose a causa di questi sommovimenti sociali in cui a contare sono i cittadini che reclamano la libertà di scegliere dove acquistare e la concorrenza che moltiplichi i luoghi d’acquisto e renda più convenienti i prezzi. Durnwalder non riesce a giocare il nuovo gioco della politica: il fatto che in Alto Adige la società sia formata da gruppi e individui che, più spesso che in passato, siano da comporre di volta in volta sulla base di specifiche questioni, da includere nelle decisioni e persino nella loro realizzazione.

Durnwalder spera di evitare il problema oscurando la trasparenza. Recinta il perimetro della decisione alla Svp, alla giunta, a se stesso. C’è un documento approvato dalla commissione all’unanimità sulla toponomastica? Invece di renderlo pubblico e aprire un civile confronto che riconosca a italiani e tedeschi il diritto di partecipare, il presidente secreta gli atti, ne discute da solo con il ministro, non informa neppure la sua giunta. Adesso compie la prima marcia indietro, mentre ieri il nostro Maurizio Dallago ha raccontato ai lettori (e agli assessori) che cosa c’è nel documento. Le carte le abbiamo rese pubbliche noi.

E’ evidente la difficoltà della Svp, con Theiner e Durnwalder in prima fila, di fronteggiare la mobilitazione civica di cittadini che non concepiscono più l’elezione dei governanti come una delega in bianco, ma come un mandato da sorvegliare, da verificare, e sul quale incidere in corso d’opera. Tedeschi o italiani, i cittadini non sono assenti e lesinano la fiducia. Neppure in Alto Adige, dove la divisione etnica pesa, il paesaggio sociale è più riconducibile a una cifra unica. Anzi, persino lo stato etnico dell’Alto Adige comincia a somigliare a un puzzle complicato al quale una politica disorientata non riesce a offrire un modello di governo legittimato da un consenso ri-guadagnato ogni giorno. Theiner guarda i medici e vede una lobby invece di vedere dei cittadini professionisti che difendono i pazienti di cui condividono ogni giorno le sofferenze, oltre al loro mestiere e ai loro diritti individuali.

E sbaglia politicamente quando non li accetta come interlocutori. Durnwalder commette lo stesso errore quando non vede che ha davanti una società non più rigidamente territorializzata su base etnica, ma una società che si articola, si frammenta, che chiede il riconoscimento di istanze vissute spesso come “non negoziabili” fra loro. Questa miopia rende Durwalder un presidente sempre meno imparziale, nel senso che non tiene conto di tutte le esigenze, gli interessi, i bisogni in campo. Di tutti i dati della situazione. Si muove come il presidente dei sudtirolesi per paura della destra radicale. Il risultato è che rischia di agire solo come leader di un partito e di una componente etnica. Che questo gli eviti di perdere voti, si vedrà. Che lesioni la sua imparzialità, è chiaro. E intanto si governa a vista.













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