Egon, l’arte di essere “contro”

Moroder Rusina racconta il suo “alpeggio” ispiratore. «Ma non sono un eremita e non medito»


di Daniela Mimmi


ORTISEI. Bisogna liberarsi di tutti gli orpelli culturali, morali e sociali, quando si entra nell’antro-atelier di Egon Moroder Rusina, nel pieno centro di Ortisei. Ci sono piccoli topi e una talpa che pendono, secchi dal soffitto. Ma anche diversi uccellini e un grande corvo nero colpito dalla morte in una posizione innaturale. Ci sono bambole, poltrone barocche con un teschio poggiato sopra come un gatto, scheletri di mani e piedi, una scatolina piena di denti. La ricerca di ossa umane è tra le attività che questo singolare artista ladino gardenese predilige. «Questi teschi erano seppelliti vicino al Duomo di Bressanone, sono di tutti quelli morte per la peste del Seicento», ci racconta, mostrandoli. E poi c’è l’oggetto più importante per Egon: una calotta cranica umana, rivestita d’argento e “abbellita” da tanti piccoli teschi. «Me l’ha portata mia madre dall’India. L’aveva in testa un indiano durante un funerale ed era di suo padre. Mia madre ha lottato per farselo dare e alla fine c’è riuscita. Me l’ha regalato a Natale, in un bel pacchetto».

Alle pareti ci sono i quadri più erotici e trasgressivi, quelli per i quali ha avuto diverse denunce, e poi pile e pile di cartelle accatastate per terra, piene di dipinti. Ci sono molti dei disegni originali da cui sono state stampate le famose carte da gioco con le caricature dei nostri politici. Ci sono i dipinti verdi-azzurri che ha fatto quest’estate nel suo “rifugio” al Rasciesa, e che puzzano un po’ perchè nel colore ci ha messo anche uovo e saliva, e tutti i... gialli che dovrebbero essere appesi insieme in una parete lunga 20 metri. «Non sembra, ma sono tutti diversi uno dall’altro», dice facendo scorrere sotto i nostri occhi decine di quadri tutti gialli e che a noi sembrano tutti uguali.

Questo è il suo atelier. La sua casa è poco lontano, sulla via principale di Ortisei: è la casa dei Moroder. Egon ci abita con la moglie, mentre la figlia studia, ovviamente arte, a Firenze. Non possiede il cellulare, non ha la patente e la macchina. «Non mi preoccupo di vendere i miei quadri perchè non ne ho bisogno. Vivo con molto poco. Al massimo con un quadro pago il dentista», ci spiega.

Ha viaggiato in tutto il mondo ma adesso si è stancato. L’unico viaggio che fa è quello, in pratica, delle mucche: all’inizio della bella stagione se ne va a stare nella sua tenda sul Rasciesa e torna quando inizia l’autunno. «Non sono un eremita - precisa però - anzi sono felice quando qualcuno mi viene a trovare... Naturalmente con una bottiglia di vino! Ogni tanto viene qualche signora che mi chiede di risolvere i problemi della sua vita, come se fossi un santone. Vivo lassù tutta l’estate, con tre capre e due galline. Mi nutro di quello che mi danno loro: latte e uova. Ogni tanto vengono mia moglie e degli amici che mi portano qualcosa. Il posto è assolutamente solitario. Mi hanno fatto dei problemi perchè è parco naturale. Davo fastidio soprattutto ai cacciatori, che hanno tentato di... cacciarmi. Dicono che spavento la selvaggina, invece è vero proprio il contrario. Gli animali si avvicinano spesso alla mia tenda. Se il tempo è bello dipingo, se è brutto me ne devo stare chiuso nella tenda, dove non ho la luce e quindi non posso nè dipingere nè leggere. Non è facile stare due o tre giorni chiuso in una tenda a non far niente. Non bisogna fare meditazione, bisogna pensare il meno possibile, non è facile, e raggiungere uno stato di dormiveglia. Poi sembra di levitare».

Perchè lo fa? Perchè ama la natura e non ama troppo la gente, dalla quale è stato spesso criticato e non compreso. «Ho vissuto tutta la contestazione studentesca e mi piaceva essere trasgressivo. Ma nessuna galleria voleva ospitare le mie mostre, così nell’82 provocatoriamente esposi fuori dal vespasiano sulle passeggiate del Talvera, lato via Diaz, a Bolzano», dice. E’ contento e orgoglioso di essere un artista “contro”. E di vivere in solitario splendore. «Gli artisti ormai lavorano tutti per conto loro - conclude -, non ci sono più i gruppi artistici. Ormai l’arte si fa per vendere, è diventata una forma di speculazione. E a me questo non piace».

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