Elezioni, la scelta di campo


Paolo Campostrini


«Blockfrei» è una parola tedesca che in italiano si traduce così: l’Svp sta bene al centro. Mimetizzata tra gli schieramenti, ondeggiante nella terra mediana tra le due ali estreme. Sostanzialmente in mezzo al guado, nè di qua nè di là; meglio se in compagnia solo di se stessa. Il fatto che abbia scelto Spagnolli e il Pd è una notizia; che lo abbia scelto da subito, a più di un mese dalle elezioni è un evento. E nel nostro piccolo mondo, uno di quelli che fanno epoca. Ha scelto perchè vuole tentare di vincere subito, al primo turno. Ma anche perchè non aveva altra scelta. Ha sibilato uno di loro, al termine di una delle riunioni più brevi della storia del coordinamento: «Vedere Seppi e Urzì così stretti intorno a Oberrauch ci ha tolto ogni dubbio».
L’Svp è così: se la destra fa solo la destra o la sinistra agita troppo bandiere rosse lei rincula, si ritrae. Se sono amici chiede spiegazioni; se sono nemici si volta dall’altra parte. Durnwalder e gran parte dell’ala economica hanno speso gli ultimi dodici mesi a lanciare segnali espliciti al centrodestra. La scelta «Blockfrei» così a lungo ribadita era certamente un messaggio neppure troppo nascosto ad una coalizione di governo trionfante a Roma e dunque interlocutore inevitabile; ma era, a Bolzano, una sommessa sollecitazione perchè, da destra, si avviasse un ripensamento nei confronti dell’autonomia in generale e nel quadro dei rapporti con l’Svp in particolare. Un Pdl impegnato a tessere alleanze al centro avrebbe trovato interlocutori influenti dentro una Parteiletung spesso imbarazzata per le alleanze un po’ troppo movimentiste che la Volkspartei bolzanina era stata costretta ad accettare per lealtà di giunta. Dentro queste fenditure, evidenti in un partito profondamente moderato come l’Svp, Holzmann si era già insinuato, come d’altro canto il cattolico Benussi. L’offensiva della Biancofiore, il suo «plastico» affiancare al mistilingue Oberrauch il politburo della classica destra storica, da Urzì a Seppi, ha costretto l’ala economica a ritirare la propria già fantasmatica disponibilità al rovesciamento delle alleanze. In sostanza: se la destra non prova a cambiare, l’Svp non ci pensa neppure.
Altro piano di riflessione riguarda le conseguenza di questa scelta di campo. In primo luogo non è certo che possa assicurare a Spagnolli lo sfondamento al primo turno: la defezione dell’Udc, nel campo italiano, e la presenza dei Freiheitlichen in quello tedesco, offre margini all’eventualità del ballottaggio. E poi c’è Oberrauch. Che è una figura che potrebbe riservare delle sorprese.
L’Svp questo lo sapeva prima di decidere ma non le ha impedito di decidere. E dunque, l’evento non offre alla coalizione la certezza della vittoria ma ha sicuramente il merito di fornire un’elemento di chiarezza politica agli elettori. Da una parte c’è una destra compatta e unita, dall’altra l’asse Pd-Svp. Non è chiara, invece, la scelta della galassia dei piccoli partiti. Repetto, Di Puppo, Di Gesaro, Sabbadin forse non riusciranno a diventare sindaci ma sono già riusciti a confermare una storica predisposizione degli italiani a frammentarsi. Il loro ambito di manovra si chiarirà nella terra di mezzo tra il primo e il secondo turno, dove, più che la strategia dei programmi, trionferà la tattica delle concessioni assessorili.
Il Pdl ha scelto dove stare, l’Svp pure. Loro no. Si tratterà di capire se il centro, la «terza via», che non è riuscita a nascere come proposta politica, si configurerà come ipotesi numerica dopo il voto. Ma è questa è vecchia politica. La nuova non c’è ancora. La aspettiamo con immutata, anche se stanca, fiducia. Ha cinque settimane di tempo.













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