Franz Haller, il ginnasta che divenne un gladiatore

L'ex campione di kick boxing nella palestra di via Resia alleva i giovani lottatori


Antonella Mattioli


«Sa qual era il mio sogno quando ero ragazzino? Fare ginnastica artistica». Anche oggi a 52 anni Franz Haller, bolzanino d'adozione (è nato a Lagundo), è una montagna di muscoli: facile immaginarlo su un ring, oggettivamente difficile pensarlo inguainato nella calzamaglia del ginnasta. «E infatti - dice ridendo - non ho mai neppure iniziato. Ma, anche se può sembrare strano, è stato proprio quel desiderio a portarmi a cercare una palestra». Era la metà degli anni Settanta, quando Haller - un passato da campione di kick boxing (ha vinto 15 titoli mondiali nelle discipline emergenti delle arti marziali dal full contact alla kick e thai boxing), un presente da allenatore e promotore di eventi - a Merano s'iscrisse allo «Sporting center», una palestra specializzata nel karate. Dalla ginnastica artistica al karate il salto è notevole. «Apparentemente sì. Nella realtà c'è qualcosa che accomuna queste due specialità: è la raffinata armonia dei movimenti». Lei quindi è partito dal karate per approdare al kick boxing. «Sì, il mio primo amore è stato proprio il karate. Quelli erano gli anni del boom: sia in campo sportivo che cinematografico. Per me però non era un fatto di moda. C'era qualcosa di più profondo». Cosa in particolare? «Prima ancora di iniziare col karate ero affascinato dalla cultura asiatica, in particolare dalla meditazione che, nelle arti marziali, unisce corpo e mente». Dal karate però è passato a una disciplina brutale che è fatta di pugni e calci. «Non è corretto parlare di kick boxing come di una disciplina brutale: certo non ci si scambiano carezze ma tutto avviene in base a delle regole precise. In ogni caso prima di passare alla kick boxing che allora, nella versione praticata oggi non esisteva neppure, ho deciso di fare boxe». Si era stufato del karate. «No. Avevo bisogno di qualcosa di più concreto, di più tosto per misurare la mia forza. Il pugilato è uno sport duro sinonimo di guantoni, fatica, sudore. Da Bruno Merlo, meranese che negli anni'50 e'60 è stato un pugile di buon livello, ho imparato a boxare. A me però che venivo dal karate piaceva molto il full contact, una disciplina importata dagli Stati Uniti, che consente di tirare pugni ma anche calci. Allora si saliva sul ring con pantaloni lunghi e scarpette». Si fece notare subito. «Sono stati anni esaltanti: nel 1979 ero nella nazionale italiana di full contact è ho vinto il campionato mondiale dilettanti a Tampa, in Florida. Due anni dopo sono arrivato in finale agli Europei di Londra. Dal 1985 all''86 ho vissuto in America, dove ho affinato la tecnica. In carriera ho ottenuto grandi risultati». Che differenza c'è tra il full contact e la kick boxing? «Sinteticamente: full contact sono pugni e calci in linea media e alta. La Kick Boxing giapponese, che è quella che facciamo noi, sono pugni, calci in linea bassa, media, alta e ginocchiate». Mentre gareggiava, aveva aperto anche una palestra sua. «È stata un'esperienza breve: nel 1985 avevo preso un grande capannone a Merano ma nel gennaio dell'anno successivo venne distrutto da un incendio. Una tragedia per me che ero sommerso dai debiti. È stato allora che mi sono ritirato per un periodo in una baita alla Mendola con un sacco e un paio di guantoni». Ha abbandonato il ring? «No. Ma dovevo capire cosa fare. È stato importante incontrare Arturo De Prezzo e Antonio Antino, ex pugili, che hanno cominciato a seguirmi negli allenamenti». Si è arricchito con la kick boxing? «No. Le borse per il vincitore allora non andavano oltre il milione di lire massimo due. Adesso arrivano anche a 500 mila dollari». L'ultimo combattimento? «Nel maggio 2001 a Bolzano contro un americano. Avevo 42 anni: una follia. Putroppo il mio limite è sempre stato quello di esagerare. Sono salito sul ring che avevo già l'anca artificiale. Ho vinto grazie all'esperienza ma ho rischiato». Lei non combatte più, ma trasmette passione ed esperienza ai ragazzi che frequentano la sua palestra al Palazzetto dello sport di via Resia. «La palestra è la mia seconda casa: siamo aperti tutto il giorno. Insegnamo la kick boxing giapponese e la boxe thailandese che è la più completa». Quante persone ruotano intorno alla palestra di Franz Haller? «Un centinaio» Tutti aspiranti campioni? «Macché sono solo una ventina quelli che gareggiano». Atleti a parte, qual è la motivazione principale che porta le persone nella sua palestra? «Il desiderio di fare una disciplina che è completa e serve molto anche a livello psicologico: plasma la personalità». Ci sarà anche chi la sceglie come autodifesa. «In effetti è così anche se non è detto che chi fa kick boxing sappia anche difendersi in caso di aggressione: non è questo l'obiettivo di questa disciplina». Vi allenate a tirare calci e pugni com'è possibile che uno possa trovarsi in difficoltà in caso di aggressione. «È possibilissimo. Questa è una disciplina che ha regole precise. Nell'aggressione innanzitutto c'è l'effetto sorpresa e l'aggressore non rispetta nessuna regola». Lei ha quattro figlie condividono la sua passione? «Assolutamente no». VEDI IL VIDEO SU WWW.ALTOADIGE.IT













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