Giù le mani dalla festa

Il vicepresidente del consiglio provinciale, Mauro Minniti, si è detto indignato per "l’inaudita scelta del Comune di Bolzano di apporre una targa per i Sinti vittime dell’olocausto".


Luca Fregona


Che brutto 25 aprile. E’ vero: quando le cose inziano male, finiscono peggio. Lasciamo per un attimo da parte «la questione Schützen». Purtroppo, la prima stura alla fiera del cattivo gusto l’ha data il vicepresidente del consiglio provinciale, Mauro Minniti. Qualche giorno fa, Minniti si prende la briga di scrivere un comunicato per dire di sentirsi indignato per «l’inaudita scelta del Comune di Bolzano di apporre una targa per i Sinti vittime dell’olocausto».

La spiegazione suona più o meno così: «E’ giusto ricordare tutte le vittime di quella gran tragedia che è stata l’olocausto, ma non è giusto fare una distinzione tra le vittime come se fossero di serie A o di serie B. Una discriminazione nei confronti dei morti militari e civili che non erano Sinti ed ebrei». Dichiarazioni che l’assessore Luigi Gallo - a lungo operatore della Caritas - ha definito, con un eufemismo, «stupefacenti».

In realtà racchiudono l’incapacità della destra italiana di “appropriarsi” e comprendere i valori della Liberazione. Di accettare una volta per tutte l’orrore delle dittature nazifasciste dell’Europa degli anni Trenta e Quaranta. Senza se e senza ma. I casi sono due: nella migliore delle ipotesi Minniti è un ingenuo, nella peggiore è in malafede e usa il 25 aprile pigiando sull’acceleratore dell’ondata di odio contro gli “zingari”. Minniti dovrebbe sapere che a Bolzano esistono innumerevoli targhe e monumenti che ricordano “tutte” le vittime del nazifascismo.

Gli rinfreschiamo la memoria: al lager di via Resia c’è un cippo per tutti i martiri (ebrei, prigionieri politici, militari, i cosiddetti asociali, ovvero omosessuali, prostitute e disabili fisici e psichici), che transitarono dal campo. Un bellissimo monumento con lo stesso significato esiste davanti alla Metro, in via Pacinotti, sui binari da dove partivano i vagoni piombati per Auschwitz. In via Volta c’è una targa che ricorda i sette operai bolzanini, sette partigiani, impacchettati sui treni della morte nel gennaio ‘45, poi uccisi a Mauthausen, e i lavoratori della Lancia trucidati dai tedeschi ai primi di maggio. In via Visitazione è stato dedicato un parco ad Olimpia Carpi, caricata su un treno a 4 anni e inghiottita ad Auschwitz nel 1944.

In vicolo della Roggia c’è una targa che ricorda il martirio del maestro Franz Innerhofer, manganellato a morte dalle camicie nere di Achille Starace nel 1921. Da un paio di anni - grazie al prezioso lavoro dell’Archivio storico del Comune e dell’Anpi - vengono commemorati i 23 soldati italiani trucidati dai nazisti alla caserma Mignone il 12 settembre del 1944.

Tra la caserma dei carabinieri e la questura un monumento ricorda il sacrificio del brigadiere dell’Arma Salvo D’Acquisto. Detto per inciso, in via Fiume - giustamente - il Comune nel 2007 ha scoperto una stele per gli infoibati, vittime di un’altrettanto cieca, devastante violenza. Insomma, gli unici che avrebbero, caso mai, diritto a lamentarsi dovrebbero essere gli omosessuali, i «triangoli rosa», morti a migliaia nei lager nazisti, a cui nessuno, fino ad oggi, ha dedicato nulla. Forse il meranese Minniti non conosce Bolzano. Ma, come dice Andreotti, a volte a pensar male si fa bene. E dispiace, visto che Minniti ricopre anche una carica istituzionale.

Perchè il vicepresidente del Consiglio se la prende con i Sinti? Le donne, gli uomini, i bambini, i vecchi finiti nel camino non hanno diritto ad una targa semplicemente perché sono «zingari»? Come si fa definirli “vittime di serie A”, quando la loro storia viene costantemente ignorata? Oggi gli zingari, rom o sinti non importa, sono sull’ultimo gradino della scala della considerazone sociale. Non occorre citare il filosofo Renè Girard, Elias Canetti, o la teoria del capro espiatorio, per sapere che nei momenti di crisi le società cercano una valvola di sfogo. Prima erano i marocchini, poi sono diventati gli albanesi, ora tocca ai rom.

Troppo facile farsi propaganda così. Stavolta la predica arriva dalla parte sbagliata. Minniti è cresciuto nell’Msi, fa parte di quella generazione che fino alla metà degli anni Ottanta non aveva problemi a farsi fotografare col braccio teso. Minniti è stato allevato nel mito della Repubblica sociale e dell’Impero. Minniti ha succhiato latte dalla mammella di Giorgio Alimrante. Minniti è stato per anni un fedelissimo rautiano. Minniti adora come un padre Pietro Mitolo, rispettabilissima persona, ma anche repubblichino convinto, che ancora oggi si fa ritrarre nel suo studio davanti al busto e all’opera omnia del Duce.

All’interno di An prima, e del Pdl oggi, Minniti fa riferimento a Giorgio Holzmann, il deputato che nell’agosto scorso ha firmato un disegno di legge che vuole equiparare i «ragazzi di Salò» ai partigiani. Quei ragazzi che - senza alcuno scrupolo morale - rastrellavano e portavano in via Resia ebrei, partigiani, sacerdoti antifascisti, militari italiani, testimoni di Geova, puttane, finocchi, storpi e zingari. Ecco perché Minniti non può dare lezioni di “politically correct”. Se ficchi il naso in una storia che non ti appartiene, rischi di dire stupidaggini tremende. E di ottenere l’effetto contrario. Ma i paradossi del “nostro” 25 aprile non sono tutti qui e non riguardano solo Minniti.

Solo in Alto Adige si può vedere il giorno della Resistenza i «fascistissimi» di Donatone Seppi («Mussolini è stato un grand’uomo, l’unica cazzata che ha fatto è stata la guerra», la sua massima preferita), commemorare l’Alpino di Brunico sull’attenti. Solo qui (e forse in qualche birreria di naziskin a Norimberga) si possono vedere gli Schützen esaltare la Wehrmacht e celebrare la Liberazione come un funerale. E solo qui può accadere che il vicesindaco della città capoluogo si rifiuti di presenziare alla targa di Manlio Longon o alla stele di via Resia. Con il sindaco espressione del centrosinistra che fa spallucce e dice: «Nessun problema, rispetto la sua decisione». Lo storico Giorgio Delle Donne una volta ha detto: «Questo è l’unico posto al mondo dove i fascisti sono stati antinazisti e i nazisti antifascisti».

Evidentemente, le radici di questo scontro pulsano ancora. Ma il 25 aprile, per piacere, lasciatelo perdere. Non c’entra niente. E’ un’altra storia. E’ l’atto fondativo di una repubblica democratica, che - nel bene e nel male - regge ancora. E che permette a Minniti e Schützen di dire e fare quello che vogliono. I più intelligenti sono stati i “veci” dell’Ana. Col magone hanno rinunciato all’adunata nazionale per rispettare le celebrazioni hoferiane. E ieri, a Brunico, hanno esposto un solo striscione: «Voi qui, i nostri alpini in Abruzzo». A lavorare. Grazie.
Luca Fregona l.fregona@altoadige.it













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