la storia

Giorgia Cantisani, in Francia per studiare i segreti del cervello

Il nuovo "spazio" del nostro giornale per raccontare i giovani. La ricercatrice bolzanina, 32 anni, lavora a Parigi, dipartimento  di Scienze cognitive: «Tornare in Italia? Se ci sarà l’occasione. Ho nostalgia di Bolzano e appena posso vengo a trovare i miei genitori»


Antonella Mattioli


Con «Fame di futuro» il nostro giornale si arricchisce di un nuovo spazio. Sarà il luogo in cui raccontare i nostri giovani, le loro idee, le loro aspettative verso questo territorio.

BOLZANO. «Ci sono delle cose che succedono per caso. Per me, almeno, è stato così. Innamorata degli animali, dopo la maturità al liceo scientifico “Torricelli”, avrei voluto iscrivermi a Veterinaria. Non sono riuscita ad entrare e ho virato su Ingegneria biomedica. Una scelta che si è rivelata quantomai azzeccata. Oggi faccio ricerca, la mia passione». Giorgia Cantisani, 32 anni, ricercatrice bolzanina “emigrata” in Francia, racconta così il suo approccio al mondo della scienza, iniziato con la triennale in Ingegneria biomedica e proseguito con la magistrale in Bioingegneria a Torino. Dal 2018 vive e lavora a Parigi; sta facendo il post-dottorato al Dipartimento di Scienze cognitive de l’Ecole Normale Supérieure (Ens) in Neuroscienze computazionali. Attualmente è a Kyoto, per una collaborazione di un mese con l’università nipponica.

Come mai la scelta è caduta sulla Francia?

Anche Diego, mio marito, lavora come ricercatore e, cinque anni fa, ho deciso di seguirlo in Francia. Un Paese dove ci sono molti ricercatori italiani.

Perché in Francia la ricerca è sostenuta di più che in Italia?

Faccio fatica a fare un confronto. È certo però che è molto sostenuta; ci sono fondi importanti destinati alla ricerca, perché è ritenuta strategica per la crescita del Paese.

Come è stato l’impatto?

Buono direi. Quando sono arrivata nel 2018 per un dottorato a Telecom Paris (una delle grandes écoles di Ingegneria di Parigi), ho partecipato subito ad una conferenza, dove ho vinto un premio per andare al primo Hackathon, organizzato a Londra dagli Abbey Road Studios, in collaborazione con la Microsoft.

E cosa doveva fare?

Ai partecipanti arrivati da diversi Paesi si chiedeva di sviluppare un progetto di intelligenza artificiale sulla musica. Avevamo 48 ore di tempo per farlo e il mio gruppo ha vinto il primo premio per l’ AI con Rapple, uno smart rap Battle opponent. Ci siamo divertiti tantissimo.

La sua ricerca oggi su cosa si concentra in particolare?

Studio i meccanismi cognitivi alla base della percezione e produzione della musica e della parola. Per capire come questi due elementi interagiscono nel caso delle canzoni, della poesia o semplicemente quando si parla ai bambini piccoli. L’obiettivo è comprendere, attraverso l’analisi di risposte cerebrali e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, come funzionano i meccanismi neuronali “stimolati” da musica e parole; quali sono similitudini e differenze.

Nel suo futuro cosa vede?

Ricerca, ricerca e ancora ricerca; questo è un lavoro fantastico, perché vario. Ogni giorno c’è qualcosa di diverso. E poi sono curiosa. Caratteristica indispensabile per un ricercatore. Ho una serie di domande alle quali dare una risposta. Ci vorranno anni.

E all’insegnamento non ci pensa?

Sinceramente non è nelle mie corde. Mi agito molto, ho sempre paura di sbagliare. Direi che il mio campo d’azione è sicuramente la ricerca. È lì che do il meglio.

Per essere assunta come ricercatrice dall’Università, cosa dovrà fare?

Adesso sono nella fase critica, una sorta di collo di bottiglia. Nel senso che la ricerca deve diventare un lavoro stabile. Per rimanere nell’ambito universitario, come piacerebbe a me, ci sono concorsi molto selettivi da superare e la competizione è alta.

Anche in Francia c’è il problema che abbiamo in Italia, dove ancora poche donne scelgono come indirizzo scolastico quello scientifico?

In Francia si spinge molto per sostenere questa scelta. Nel mio piccolo, ho coordinato delle iniziative per incoraggiare gli studenti a intraprendere la ricerca. In particolare nel mio ambito che unisce intelligenza artificiale, musica e neuroscienze.

Dovendo spiegare ai giovani cosa si richiede ad una ricercatrice, cosa direbbe?

Tanta curiosità. Forza di volontà e disponibilità a viaggiare; a spostarsi da un Paese all’altro e rimanerci magari anche per lunghi periodi.

A lei viaggiare piace?

Tantissimo. Adesso sono a Kyoto, perché ho una collaborazione con l’università. Rimango qui un mese. È la quarta volta che vengo.

E come si trova?

Benissimo. Il Giappone è un Paese che mi piace tanto, perché non lo capisco. È tutto da scoprire.

Cosa le piace in particolare?

La sensazione di estrema tranquillità che vivo quando sono qui. È come se nulla potesse andare male.

L’Italia dalla Francia o dal Giappone come la percepisce?

Ho come l’impressione che sia un Paese molto autoreferenziale. Sembra che tutto inizi e finisca in Italia. Se poi, come me, hai la fortuna di viaggiare per lavoro, di conoscere dal di dentro altri Paesi, impari ad accettare che c’è anche qualcos’altro, che c’è anche un altro punto di vista.

Ha intenzione di tornare in Italia?

Non lo escludo. Se ci sarà l’occasione, potrei tornare.

Nostalgia di Bolzano?

Tantissima. Bolzano è una città molto bella e amo le mie montagne. Poi lì abitano i miei genitori e appena posso torno. Il periodo più lungo è stato durante il Covid: non sono rientrata a Bolzano per sei mesi. È stata molto dura.

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