La diocesi

«Gli abusi della chiesa? Molti di più dei 100 già denunciati» 

Il responsabile della tutela dei minori don Gottfried Ugolini: «Abbiamo fatto emergere una parte del male. Il vescovo ha aperto la strada, ma l’inchiesta in Germania ci dice che c’è ancora da fare»


Paolo Campostrini


BOLZANO. «La Chiesa deve scegliere: o riconosce senza infingimenti le proprie colpe, fa emergere abusi e coperture o lo faranno gli altri. Noi abbiamo gia scelto la prima via...».

Don Gottfried Ugolini ha in mano i giornali, con titoli che sono una ferita: «Pedofilia, accusato Ratzinger»: come arcivescovo di Monaco non avrebbe reagito in quattro casi di abusi. Proprio il Papa emerito. Il primo, ricorda Ugolini, «che da cardinale ha messo nell'agenda vaticana della Congregazione per la dottrina della fede, il dover accogliere la sfida intorno al proprio passato oscuro. Il primo Papa a cambiare le norme del diritto canonico, il primo ad incontrare gli abusati. Quanto sta accadendo in Germania, con denunce e nuove testimonianze, è un colpo durissimo alla credibilità di quelle gerarchie».

Ugolini è un uomo di Chiesa. Ed è in prima linea su questa trincea del dolore e del rimpianto di non aver subito scoperchiato il male. Da poco è stato nominato responsabile del servizio diocesano per la prevenzione e la tutela dei minori da abusi e altre forme di violenza.

Questa designazione è il segno dell'impegno in profondità di Ivo Muser, il nostro vescovo, su questo terreno tragicamente friabile. Dove si intrecciano antichi silenzi, responsabilità delle parrocchie, trasferimenti improvvisi senza apparente giustificazione, ombre e paure degli abusati di rompere questo clima omertoso. Bolzano ha, da anni, accolto l'invito di papa Francesco: «Convertitevi». E non lo ha fatto soltanto a parole.

Avete scoperto abusi, in Alto Adige?

Fino ad oggi almeno cento casi.

Cosa è accaduto?

Abbiamo aiutato queste persone a fare riemergere il loro passato. Non è stato facile.

Pensa che 100 siano tutti i casi?

No. In realtà sono stati molti di più. Gli esperti ci dicono che ad un abusato occorrono non meno di venti o trent'anni per accettare in cuor suo quanto accaduto. Gli episodi riguardano queste persone da giovanissime e loro stessi hanno poi deciso di andare avanti con la loro vita. Di dimenticare. Meglio: di mettere in un angolo dei loro ricordi quanto è occorso loro.

Ma poi parlano...

Di solito accade quando si trovano ad essere genitori. Vedono i loro figli crescere e quando questi raggiungono l'età in cui a loro accadde la violenza, ecco che qualcosa si rompe nelle barriere della mente. O succede perché si sposano.

Perché è certo che siano accaduti molti più episodi di quelli di cui lei è a conoscenza?

Proprio per il tempo che occorre per accettarli. Quelli emersi riguardano fatti intorno agli anni Sessanta. Ma passati altri dieci anni, è probabile che qualcosa emergerà ancora.

Come si è comportata la nostra diocesi?

Con coraggio. Ma la guida è sempre il Vangelo.

Cosa è chiamata a fare ancora la Chiesa?

I suoi esami di coscienza. Elaborare il passato, accettarlo, analizzare i meccanismi attraverso cui a vari livelli, dai più alti ai più bassi, si è scelto di non parlare.

Per quale ragione è successo?

In molti casi nel tentativo di coprire la struttura rispetto alle speculazioni. Per un malinteso senso di responsabilità verso la Chiesa come istituzione da proteggere. E invece si è ottenuto il contrario.

Come avvenivano queste coperture?

Dalle carte emerse in Germania, ma anche per la nostra esperienza, accade a volte che siano i genitori stessi a tacitare i racconti dei propri figli abusati. Per vergogna o più diffusamente per non mettere in difficoltà il parroco. Per molti rappresenta l'autorità. E dunque si fermano.

Chi ha invece riconosciuto e denunciato chi è?

Persone coraggiose. Perché tutti sono sempre indotti a distaccarsi da quella sofferenza, a proseguire il loro percorso provando a togliersi quel peso dimenticando.

Che cosa accadeva di solito ai sacerdoti coinvolti?

A volte venivano trasferiti. Ma in questo caso si evitava di fare un servizio di carità nei loro confronti. E poi anche alla comunità. Trasferendoli, si trasferiva anche il problema e si mettevano questi sacerdoti nella possibilità di ricadere in tentazione. Perché non era avvenuto un percorso di verità.

Certi episodi riguardavano solo sacerdoti?

Non solo. A volte diaconi, assistenti. Anche scout.

Che idea si è fatto rispetto ai mezzi da usare oggi per combattere gli abusi? Dopo quello che avete già fatto nella ricerca insistita delle testimonianze e attraverso le parole e le condanne, durissime, del vescovo Ivo Muser?

Penso che la nostra diocesi sia andata avanti con grande perseveranza. Senza equivoci di sorta. Oggi la questione è affrontata a viso aperto. Ma quello che si potrebbe fare ancora, è rivedere i nostri rapporti con la base, con le parrocchie. Fornire ai parroci un empowerment, un potenziamento dei loro mezzi, anche normativi. Una griglia di comportamenti da attuare in automatico, tra consulenze psicologiche diffuse e chiarezza di rapporti con i parrocchiani stessi. Lo stiamo facendo.













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