Gnecchi: stop agli scontri interni

La deputata: il partito torni ad essere luogo di discussione, sull’astensionismo abbiamo qualche colpa



BOLZANO. Una candidatura per «dare voce al partito che vorrei, un Pd aperto al dialogo ed alla discussione, in mano a tante persone». Così Luisa Gnecchi lancia la sua corsa alla segreteria dei Dem altoatesini. Se la vedrà contro Liliana Di Fede e Mauro Randi. L’obiettivo è quello di tornare allo spirito del 2007. Il suo è però anche un atto d’accusa nei confronti di come è stato gestito il partito negli ultimi anni. Vorrebbe che le correnti ed i capibastone fossero solo un ricordo del passato, a partire dal 17 febbraio, il «day after» delle primarie che incoroneranno il successore di Antonio Frena, con la scelta sulla composizione della nuova assemblea provinciale.

Chi saranno i candidati nella lista a sostegno della sua candidatura?

«Di sicuro Salvatore Cavallo, Pietro Calò, Uve Staffler e Carlo Bassetti. Per il resto le liste vanno presentate entro l’8 febbraio,ma a tutt’oggi non sono state ancora decise le regole, ovvero se ci saranno i collegi o meno. Attendiamo la decisione di Roma».

Proprio la difficoltà a trovare un accordo in sede locale sulle regole è la dimostrazione che l’unità del partito è lontana da venire.

«Il punto è che una scelta in un senso o nell’altro, è vista da alcuni candidati alla segreteria come un possibile vantaggio».

Ma se lei si trovasse sulla classica torre e dovesse buttare giù uno tra Di Fede e Randi, che spingerebbe nel baratro?

«Nessuno dei due, perché tutti sono importanti per il Pd, tutti e tre dobbiamo lavorare per il partito».

Un partito a cui lei non lesina critiche.

«Dobbiamo riconoscere che le elezioni provinciali sono state una delusione, avevamo due consiglieri, che erano anche assessori, abbiamo adesso un assessore e un vicepresidente del consiglio provinciale, ci sono mancati pochi voti per avere in consiglio “la terza eletta”, ma eravamo anche nelle condizioni migliori perché potesse andar meglio».

E poi c’è la questione dell’astensionismo del gruppo italiano.

«Dico che eravamo nelle condizioni migliori, anche perché la destra era già battuta in partenza. Bisogna prendere atto che abbiamo sbagliato qualcosa perché l’astensionismo non si può solo attribuire come colpa ai cittadini, evidentemente anche noi abbiamo delle responsabilità precise».

Quali, ad esempio?

«Abbiamo cercato di far capire che per noi il progetto di rappresentare la popolazione va oltre la lingua di appartenenza e il luogo di nascita e quindi di provenienza, avremmo voluto che la nostra candidata terza in lista fosse eletta, ci siamo impegnati per la conferma dei due uscenti e Cornelia Brugger è la prima dei non eletti, ciò dimostra che chi ci ha votato ha capito, però gli eletti sono rimasti solo due».

La sua presenza nella corsa alla segreteria provinciale vuole essere anche un segnale alla sinistra del partito. Su quali temi?

«Il lavoro, uno stato sociale che tenga conto dei bisogni, scuola, formazione, una sanità qualitativamente alta, nonostante i nostri piccoli numeri, un uso delle risorse che promuova un’economia giusta, sostenere le imprese, l’agricoltura, su tutto ciò il Pd ha posizioni chiare. Ma la prossima assemblea durerà 4 anni, siamo in un momento di grande trasformazione, conta molto chi sarà eletto».

A proposito di eletti, la candidata Di Fede ha già scelto per la vicesegreteria Cornelia Brugger e Carlo Costa. Dal canto suo il candidato Randi lascia aperte la porta alle altre componenti Dem. Quale tra le due la scelta migliore?

«Apprezzo la volontà di Randi di coinvolgere tutto il partito una volta passate le primarie e il segnale sulla vicesegreteria va in questa direzione. Ma proprio dal voto del 16 febbraio, a cui mi auguro partecipino più cittadini possibile, si deve uscire dalla logica correntizia, questo il mio auspicio».













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