I 90 anni di Stefani: salvò “Cappelli” dalla chiusura

Il lavoro, l’etica, la passione dello sci con l’Ase-Catinaccio, e l’amore per Bolzano


di Giancarlo Ansaloni


BOLZANO. Poeta e soldato? Non proprio, semmai atleta e combattente indomito, ma più nella vita borghese che non in divisa; a suo modo anche cultore di storia patria “honoris causa” per un bagaglio di eventi quasi centenari, mai scritti su carta, ma ben custoditi nella sua memoria di imprenditore, di pioniere dello sci e di patriota “sentimentale”. Questo il profilo di Lino Stefani, un personaggio poliedrico, quasi un mito consegnatoci pressoché intatto al compimento dei 90 anni - domani il compleanno - lucidissimi e ancora vigorosi, tanto da consentirgli di rialzarsi tuttora sulle ginocchia, senza (o quasi) appoggi, segno di un fisico ancora prestante con articolazioni bene oliate.

Se capita di conversare con lui, soprattutto in uno dei bar di Piazza della Vittoria, che da una settantina d’anni è un po’ il suo regno, a prendere il sopravvento sarà lo sci nella forma di slalom gigante, perché è questa disciplina che lo ha sempre affascinato e con successo, fino all’alt deciso due anni fa.

Ma il suo vero orgoglio si chiama “Cappelli”, la prima libreria italiana aperta a metà degli anni ‘30, salvata dalla chiusura, accollandosi di tasca propria un investimento che normalmente non promette certo grandi profitti, sopravvissuta fino a oggi con il nome originale di L. (Licinio) Cappelli, editore in Bologna. Fra poche settimane potrà celebrare i suoi 80 anni dalla fondazione con una festa organizzata come si deve.

Signor Stefani, ma perché tanta passione per le discese sulla neve?

Sono nato a Castel Tesino, nella valle trentina del Vanoi, a ridosso del Primiero, ma nel 1926, quando avevo solo 8 mesi, la famiglia si trasferì a Bolzano, dove mio padre aveva trovato lavoro presso la centrale di Cardano in costruzione. Il regime di allora inquadrava i giovani anche con lo sport per cui nei fine settimana calzavo gli sci per escursioni, in particolare sul Renon, ma gare zero. La svolta risale al dopoguerra quando avviai la mia attività nel settore cartolibreria e tecnografica che mi portò a contatto diretto con aziende sudtirolesi e con l’esercito per le forniture: due mondi “attivi” negli sport invernali che propiziarono il mio ingresso nell’unica e più prestigiosa associazione sportiva interetnica, l’Ase Catinaccio-Rosengarten, grazie alla quale potei esercitarmi, da autodidatta, fra le porte del gigante, per affrontare poi con un certo successo le prime gare alle soglie dei 40 anni, nella categoria “master”. Riuscii così a farmi notare oltre che come agonista, anche come organizzatore, al punto che fui eletto presidente 38 anni fa, restando tale fino ai nostri giorni.

E con quali risultati nel settore agonistico e nella gestione?

Gare a parte, sotto la mia presidenza l’Ase ha vinto ben 19 titoli italiani “master” e 27 edizioni del noto “Trofeo nazionale del Barba”, organizzato dalla Sat di Trento e dedicato alle “vecchie glorie”, roba da 400 iscritti alla volta. Sono stato invitato alle cerimonie di apertura dei Casta, le gare dei militari, per ben 33 edizioni con l’ ”onorevole” incarico di apripista; dall’Ussa inoltre ho ricevuto il distintivo d’oro come dirigente e come sportivo.

Ancora un dettaglio e poi mi fermo qui: dal mondo di lingua tedesca grazie anche ai “media” sono stato insignito del titolo di “Skilegende”, cioè addirittura “sciatore leggendario”, grazie al mio perfetto “Tirolerisch”, che mi è valso la rara patente di “Hiesiger”, equivalente del trentino “un dei nosi”, uno dei nostri”.

Tuttavia nessuno ha avuto da obiettare se da parte “italiana” si è guadagnato un po’ di merito…. patriottico?

Può essere, ma assolutamente senza risvolti politici, bensì per aver salvato dalla chiusura un bene culturale come può essere ogni libreria, che nel caso specifico però rappresenta un pezzo di storia della nostra città: la prima di lingua italiana, nata nella “Città Nuova” e tuttora, credo, la più importante e prestigiosa, ma …quanto mi costa…!”.

Quanto le costa, anzi le costò questa operazione?

Premesso che mi è cara anche sentimentalmente quasi come una figlia per cui non rimpiango nulla, mi costò 250 milioni di lire in contanti per rilevarla nel 1988 e altri 150 per ampliarla nel 2003.

Ma allora gli affari le andavano bene vista la cifra….?

Ma i soldi mica li ho trovati per strada: dietro c’è una storia di duro lavoro e di sacrifici. Sintetizzo: nel 1940, a 14 anni ero stato assunto come commesso nella Cartoleria Amonn, dove fra l’altro imparai il Tirolerisch, ma nel 1943 l’Italia crolla e i nazisti mi arruolano nell’antiaerea Flak. Sopravvissuto alle bombe nel 1945 rientro nella Amonn. Nel 1943 fra l’altro avevo avuto l’onore di lavorare accanto al cassiere della ditta, di nome Josef Mayr Nusser, prima del suo arruolamento da parte dei nazisti e il rifiuto di giurare fedeltà a Hitler che gli costò il martirio. Nel 1952 il passo decisivo: affitto un locale ex Amonn, sotto il portico al di là di Corso Libertà ed entro nel settore della cartoleria sotto l’insegna Stefani e mi trovo così a pochi metri dalla Libreria “Cappelli” che grazie anche alle scuole allora prosperava, salvo perdere colpi a cavallo degli anni ’70-’80 fino alle soglie del fallimento.

Cosa la spinse a imbarcarsi nella onerosa operazione “salvataggio”?

L’idea di trovarmi a fianco del solito bar o boutique non mi andava giù e così presi la grande decisione, guardandomi bene dal cambiare insegna e denominazione. Il mio nome rimase comunque sull’ingresso della cartoleria, poi trasferita e accorpata alla libreria, con merceologie al passo con i tempi in due settori: “la Tecnografica” e “Buffetti” sempre a suon di milioni. Per fortuna gli utili erano tali da poter sostenere la libreria, avviata lentamente verso il “rosso”. Purtroppo però tenere il passo con i grandi gruppi sarà un’impresa titanica, con i miei 90 anni, poi…!”

Se è sopravvissuto a fame, bombardamenti e cannonate, non riesce a tener duro fino al subentro di qualche giovane?

Ma il dramma è proprio questo: fra figli e nipoti gli eredi ci sarebbero, ma nessuno pare incline ad affrontare i rischi dell’imprenditoria, ancor meno degli estranei…Potessi tornare alla mia età di combattente non mi tirerei indietro. Se ripenso ai miei 17 anni, dopo l’8 settembre, quando la Wehrmacht mi prese e mi spedì a Vienna per studiare le varie tipologie degli aerei militari.

Ma come siete riusciti a sopravvivere e come siete rientrati in Italia?

Con tenacia e un colpo di fortuna impersonato da un mio amico tedesco, un sottufficiale, un insegnante ricco dell’ umanità propria di una persona colta, tanto realista da intuire la sconfitta imminente. Riuscì a organizzarci la fuga giocando sui cambi di guardia notturni. Aggiunse anche cioccolato, vestiario e sigarette per un gruppetto di otto italiani che s’incamminarono a piedi verso sud disperdendosi lungo il tragitto. Io rimasi solo, dormii in baracche e camminai per giorni: alla fine furono 250 i chilometri coperti, arrivai casa sfinito e denutrito, tanto da finire all’ospedale con una pleurite. Uscii dopo 70 giorni e mi affidai alle amorose cure della mamma: 72 ore dopo la guerra finì.

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