I cento anni del reduce di Cefalonia 

Bruno Bertoldi sopravvisse all’eccidio nazista Ieri festa insieme al presidente Kompatscher


di Davide Pasquali


BOLZANO. Per favore, se qualcuno avesse il tempo e le capacità per scriverci un libro, un’autobiografia monumentale, di centinaia di pagine, si faccia avanti. Idem se qualcuno avesse il tempo e le capacità di girare un film; non un documentario, un film, un lungometraggio, una fiction basata sul reale. Per favore, si faccia avanti. Perché la vita del bolzanino Bruno Bertoldi, sinteticamente noto come il “reduce di Cefalonia”, è un romanzo, dove la tragedia della Divisione Acqui sterminata dai nazisti nel 1943 è solo un capitolo, sebbene dei più tragici. Lui, la sua vita, se la ricorda tutta, comprese le numerose volte in cui ha schivato la morte. Per filo e per segno: date, nomi, cognomi, luoghi. Per cui, è il caso di approfittarne. E di affrettarsi, perché chi già ha passato il secolo di vita non ci sarà mica per sempre. E sarebbe un peccato che in futuro non si sapesse quasi nulla di lui, distillato acuto, genuino e, nonostante tutto il suo drammatico vissuto, assai gioviale della storia del secolo breve, il Novecento, che a chi vive oggi nei paesi civilizzati e ricchi, pare assai inverosimile. Lo sperimenta spesso, Bruno Bertoldi, questo spaesamento, quando entra nelle scuole e parla. I ragazzi ammutoliscono, trasecolano, non credono mica, ascoltano. In silenzio.

Questo sarebbe stato l’attacco del pezzo sui cento anni di Bruno Bertoldi, compiuti ieri nella sua casa di via Dalmazia assieme ai tre figli Silvano, Marco e Anna. Ma un incipit migliore per questo articolo è decisamente un altro, questo: ieri pomeriggio il presidente della giunta provinciale altoatesina Arno Kompatscher è stato sequestrato, per un’oretta buona. Il reo? Bruno Bertoldi, che l’ha invitato a casa per festeggiare i 100 anni. E poi, prima di sacher e sciampagna, l’ha inchiodato alla sedia della cucina, a raccontargli non una storia, mille storie, nessuna facile, quasi tutte a lieto fine tranne quella della moglie, più giovane di lui di dieci anni, che dopo aver ripetuto tutta la vita che sarebbe morta prima di lui, se n’è andata tre anni fa. E il governatore, nonostante gli impegni di questi frenetici giorni del dopo elezioni altoatesino probabilmente più difficile degli ultimi decenni, non si è mosso dalla sedia, occhi negli occhi, a sentire una storia più incredibile dell’altra. Commosso. Col Bruno in difficoltà, anzi no, in difficoltà era il Landeshauptmann, perché quando si accalora il Bruno racconta in dialetto valsuganotto. E apostrofa l’interlocutore col “ti”; «No ’l stia a darme del lei...»

Kompatscher arriva al quarto piano del civico 71 di via Dalmazia, entra e pensa di trovarsi davanti uno dei tanti centenari cui ha reso omaggio negli anni, specie quand’era sindaco di Fié. Bertoldi è un’altra storia. Tre quattro volte al giorno fa ancora le scale senza il fiatone (contrariamente ai figli, tiene a sottolineare). Se qualcuno in casa non trova il libro o il dvd con una sua vecchia intervista da mostrare al presidente, si alza e se lo va a prendere, borbottando contro gli astanti, lenti anziché lesti. Kompatscher ha giusto il tempo di dire due battute, di regalare tre bottiglie di succo di frutta al Bruno, che se la ride commentando: «Mai fumato, niente droga, vino poco, così si arriva ai cento anni». Il presidente è allibito: «Non è che porta bene i cento anni, non li porta proprio, che roba...» Poi il Bruno, in pensione da trent’anni, in perfetta salute, attacca il racconto. E scusateci se qui manca lo spazio. Prima però fa una battuta memorabile: «Io frequento la piazzetta qua sotto, l’ho battezzata: Geriatrica Platz. Perché quando alla mattina mi vedono, vengono tutti a toccarmi. E mi dicono: dammi un po’ di forza». E di forza il Bruno ne ha da vendere. Gliel’ha fornita la vita. Non è stato solo in un campo di internamento durante la seconda guerra mondiale, dato che in un campo di internamento, a Mitterndorf, in Austria, nel 1918 è addirittura nato: i suoi erano sfollati dal fronte della Grande guerra... Ma ecco una sintesi, decisamente fuori luogo per brevità e assenza di pathos: Bertoldi viene inviato con la divisione Acqui in Albania e poi in Grecia. Autista personale del generale Gherzi, sopravvive miracolosamente alla tragedia di Cefalonia, grazie ad un tedesco del suo stesso paese che aveva optato per diventare austriaco. Lo sta per fucilare quando lo riconosce e lo lascia scappare. Bertoldi si nasconde in casa di una famiglia di greci. Temendo rappresaglie contro i suoi amici si consegna e scopre che alcuni ufficiali italiani, tra cui il capitano Apollonio, collaborano con i nazisti. Non accetta di collaborare e viene inviato vicino Mosca, come addetto alla riparazione dei mezzi impegnati nell'attacco alla città. Quando i tedeschi si ritirano, fugge da un treno merci. Cammina nella steppa con altri quattro italiani e si imbatte in un gruppo di partigiani polacchi. Viene utilizzato come lavorante finché dei soldati russi lo portano nel campo di concentramento di Tambov, dove assiste a scene di cannibalismo. Finita la guerra, nel 1946, è spedito in Austria. Ha 28 anni e pesa solo 40 chili. Dall'Austria tornerà a casa, dopo 10 anni, dove lo credevano morto dal 1943.

Ecco. Il bello però sono i particolari. A centinaia. Al governatore, incredulo, ne racconta tre surreali, epici. Primo: non si era trovato affatto male durante il lavoro coatto per conto delle Ss. Secondo: tornato dalla Russia, a Innsbruck, lui e i compagni erano brutti sporchi e pidocchiosi. Li spogliarono, dissero loro chiudete occhi e bocca, e li spruzzarono. Col Ddt... Infine, terzo (col presidente che strabuzzava gli occhi), ha attaccato la storiella del suo commilitone del regio esercito Luigi Kofler, di Santa Maddalena, «un fascistone...»

È la vita a far riconsiderare le categorie, a far diventare dei pensatori trasversali. Per scoprire l’umanità. Il male dove non si vede. E il bene dov’è nascosto.













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