I cicloalpinisti sfidano il «7 mila»

Sei bolzanini in partenza per il Tagikistan: 1100 chilometri in bici sull’altopiano del Pamir, poi la cima



BOLZANO. L’hanno chiamata Bike Lenin, giocando sul nome della cima meta del viaggio, il Pik Lenin, vetta mitologica degli alpinisti dell’allora Unione sovietica. Stiamo parlando della spedizione di sei cicloalpinisti bolzanini, in partenza domani per il Tagikistan. Dieci ore d’aereo, millecento chilometri in bicicletta con pesi inimmaginabili, infine la salita a un Settemila. Non difficile, ma la quota c’è tutta. E in zona, non c’è mica l’Aiut Alpin che, se succede qualcosa, ti vengono a prendere con l’elicottero e poi ti scodellano al parcheggio in fondovalle. Trenta giorni di vacanza decisamente sui generis, per gente che non ama star ferma.

Erano in sette, gli anni scorsi. Poi, come raccontano a metà fra la battuta e il rammarico per l’assenza, uno ha messo su famiglia e ciao, stavolta non può. Sono rimasti in sei. Dopo aver pedalato, negli anni scorsi, in Patagonia, Bolivia, Ladakh, Marocco, Islanda e Cile, Luca Bonfante, Stefano Gavioli, Pierpaolo Macconi e i fratelli Francesco, Marco e Sandro Menapace - ossia lo Sportler Adventure Team - partiranno alla volta dell’ex repubbliche sovietiche.

Volo lunghetto anzichenò, atterraggio a Dushanbe, la capitale del Tagikistan, per intenderci il paese posto circa a nord di Afghanistan e Pakistan.

Da lì, smontate dall’aereo le biciclette da viaggio e tutto l’ambaradan, dalle tende al cibo liofilizzato agli attrezzi alpinistici, si monta tutti in sella. Mica bruscolini: 1100 chilometri su strade tutt’altro che asfaltate. Si spera di trovarle in buone condizioni, o almeno decenti, perché da quelle parti, in caso di maltempo, le alluvioni se le portano via e le comunicazioni rimangono impossibili per settimane.

Si va verso est. Si traverserà l’altopiano del Pamir, lungo la remota e selvaggia Bartang Valley. Pedala che ti pedalo, con biciclette pesanti circa cinquanta chilogrammi, su sterrato, si raggiungerà il campo base del Pik Lenin, 7150 metri di altitudine, al confine con un’altra ex repubblica sovietica, il Kirghizistan. Zone remote, pochi villaggi sperduti, dove non usano il denaro; molto spesso bisogna portarsi dietro anche l’acqua. Niente cellulare, solo un telefono satellitare noleggiato per l’occasione. Smontati di sella, pedibus calcantibus si raggiungerà il campo 1, posto a 4.400 metri. Da qui in su, si tireranno fuori dagli zaini ramponi, corde e piccozze. Per capirsi, la cima, come mera difficoltà tecnico-alpinistica, potrebbe assomigliare a una nostra Palla Bianca. Non difficile. Ma Settemila metri non sono Tremila. Ci si deve acclimatare, prenderla con calma. E si deve stare molto molto attenti. Non ci si può permettere un incidente. La cima è piuttosto ambita, nell’ex Unione sovietica e dintorni, e fa parte di quelli che vengono denominati Snow Leopard Peaks, cinque alte cime innevate dell’Asia centrale tra Tagikistan, Kazakistan, Kirghizistan e Cina. Smontati dalla cima e ridiscesi a valle, i sei cicloalpinisti verranno caricati su un camion e portati a Rushan. Da lì, in aereo si tornerà a casa.

Una spedizione del genere costicchia, ma non tantissimo, spiegano i sei cicloalpinisti. Attorno ai quattromila euro a testa, tenendo però presente che a dare una bella mano ci sono gli sponsor, che forniscono materiale a titolo gratuito o a costi piuttosto agevolati.©RIPRODUZIONE RISERVATA













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