«I comunisti in Alto Adige? Sempre all’opposizione» 

Il ricordo. Oggi il centenario della fondazione del Pci. Partito protagonista della Resistenza e dell’autonomia I primi tesserati dopo l’annessione all’Italia. Nel dopoguerra le personalità di Mascagni e Gouthier. Il ruolo delle donne


Francesca Gonzato


Bolzano. Cento anni fa nasceva il Partito comunista italiano, il 21 gennaio 1921 a Livorno. Non esiste più da trent’anni, sciolto il 3 febbraio 1991. Settant’anni di storia politica italiana. Declinata in Alto Adige con le consuete «specialità». Per dirla con l’osservatore esterno Giorgio Delle Donne, storico, «a Bolzano la crisi del Pci nacque quasi dieci anni prima rispetto al resto d’Italia, all’inizio degli anni Ottanta. Più che la crisi delle fabbriche, poterono le tensioni etniche, legate alla proporz. La data simbolo, indelebile nella memoria della sinistra altoatesina, le elezioni comunali del maggio 1985, quando il Msi passò da 3 eletti a 11, sottraendo elettorato al Pci a piene mani».

I comunisti in Alto Adige. Dal 1948 un partito sempre all’opposizione, in Provincia e nei Comuni. Il primo comunista assessore provinciale fu Romano Viola, ormai ex Pci, entrato in giunta nel 1993 come Pds.

All’opposizione ma convintamente autonomisti, questi i comunisti del Pci–Kpi.

Nel dopoguerra le figure chiave sono state Andrea Mascagni: partigiano, consigliere comunale a Bolzano dal 1948 al 1962, senatore dal 1976 al 1987. Di Anselmo Gouthier (parlamentare europeo nel 1979) si ricorda il ruolo nelle trattative sul Pacchetto. L’altro senatore del Pci è stato Lionello Bertoldi (1987-1992).

È stato anche un partito di donne importanti, come Grazia Barbiero, scelta a trent’anni nel 1983 da Enrico Berlinguer come segretaria della federazione dell’Alto Adige, «la prima donna in questo ruolo», rivendica. E Rosa Infelise Fronza, consigliera comunale, che partecipò come delegata al congresso del 1991 che decretò la fine del Pci. Poi iniziò la storia Pds-Ds-Pd, mentre la sinistra diede vita a Rifondazione comunista. Guido Margheri, arrivato da Genova, figlio di un dirigente del Pci nazionale, è stato l’ultimo segretario provinciale. «In fondo sono sempre lì dentro. Sono stati anni bellissimi. Essere comunisti era un vanto, perché avevamo un ideale, non solo un partito. Volevamo costruire un mondo migliore», racconta Bertoldi, «Il Pci dell’Alto Adige ha voluto l’autonomia speciale, avevamo capito che tenere insieme culture e lingue diverse significava essere una cellula germinale dell’Unione europea. Era anche difficile, essere comunisti. Come lavoro ero specialista in liquidazione dei danni. Quando nel 1964 sono uscito allo scoperto, candidandomi a Laives, persi la collaborazione di 12 compagnie di assicurazione».

Le origini

Dopo l’annessione in Alto Adige si insediano le strutture statali. E dal 1921 iniziano le tracce del Pci. «Lavorando all’archivio di Stato ho trovato tracce di qualche iscritto, soprattutto ferrovieri», racconta Giorgio Delle Donne. Arriva il fascismo, i partiti vengono messi fuori legge, i comunisti entrano in clandestinità. Delle Donne: «Arrivano anche i primi sudtirolesi comunisti, che traducono l’Unità in tedesco e la incollano di nascosto sotto i Portici». Durante la guerra sono attive le cellule segrete degli operai, inizia la stagione della resistenza. «Emergono personalità che saranno cruciali nel dopoguerra per la ricostituzione del Pci in Alto Adige, Mario Leoni e Senio Visentin e naturalmente Mascagni». Il periodo di maggiore fulgore, secondo lo storico, è stato tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta. Bruscamente Delle Donne colloca la crisi a metà anni Ottanta, con Bolzano «capitale» della destra italiana: «Proporzionale, patentino, tutte le declinazioni del “disagio degli italiani” sono stati più letali della deindustrializzazione». Lo storico Andrea Di Michele ricorda che la prima sezione ufficiale del PCd’I venne fondata nel 1925 con le figure interessanti di Silvio Flor e Gebhard Haslinger: «In Alto Adige le divisioni etniche hanno finito per prevalere sulla questione ideologica. Alla fine degli anni Quaranta in nessuna altra regione italiana il Pci prendeva pochi voti come in Trentino Alto Adige». Tra le personalità sudtirolesi di rilievo nel Pci, Josef Schmid, Josef Stecher, Josef Maurer.

I testimoni

Rosetta Fronza entrò nel Pci nel 1976 sull’onda di Berlinguer e del suo rinnovamento. Ricorda sorridendo: «Consegnai una dichiarazione per precisare “non aderisco all’ideologia del marxismo leninismo”, provenivo dall’esperienza dei Cristiani per il socialismo». Di quegli anni Rosetta Fronza rimpiange «il fare politica, all’opposizione, collaborando. Sono stati anni forti, difficili, anche di grande dialogo. La frattura? Lo smantellamento delle Semirurali, quando il Pci perse il suo aggancio popolare e arrivò l’onda del Msi». Grazia Barbiero è stata consigliera provinciale dal 1978 al 1988, poi venti anni di lavoro a Roma all’ufficio di presidenza della Camera: «Sono entrata nel Pci nel 1974. Eravamo la generazione dei nuovi comunisti, mai filo sovietici o filo cinesi. Famiglia borghese, mi sono buttata in quella vitalità: il movimento delle donne, le battaglie per i diritti, i referendum. In Alto Adige avevamo 2 mila iscritti, era bello essere un partito di massa. Non rimpiango nulla». L’ex consigliere comunale Oreste Galletti era approdato nel Pci da sinistra: «Vi ho militato dal 1984 allo scioglimento del 1991. Provenivo dalla sinistra extraparlamentare, poi Nuova sinistra e Democrazia proletaria. Quando il Pci ha chiuso ho scelto Rifondazione comunista». E ora? «Aspetto ancora un partito comunista, una cosa vera, non il frutto della scissione di una scissione. I temi sono ancora tutti lì. Ho iniziato a lavorare a 15 anni come apprendista. Fare politica per me significava lottare per i diritti, per una società giusta. Il Pci, mi ha regalato l’esperienza di un confronto alto: andava dagli iscritti, alle sezioni, alla federazione provinciale e da lì di nuovo sul territorio di nuovo. Tutto ciò che oggi ci manca».

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