I due attentati pantirolesi contro Andreotti nel Meranese

Molti si ricordano della bomba scoppiata al Palace la notte di San Silvestro del 1986, ma pochi mesi prima c’era stato un altro fallito attentato, contro di lui e Cossiga. Eccone la storia


di Paolo Cagnan


Parte dal Meranese la ripresa del terrore. E’ il 1986. L'anno precedente era trascorso tranquillo, senza bombe, ma contrassegnato dal clamoroso boom elettorale del Msi alle elezioni comunali di maggio. Un fenomeno politico che innescherà nuove tensioni etniche e che si esaurirà soltanto molti anni più tardi, quando la protesta italiana rientrerà, almeno in parte. Quarantasei attentati nel triennio 1986/1988. Molte inchieste giudiziarie, condanne ma anche assoluzioni, e non mancano le provocazioni da parte di ufficiali spregiudicati, pronti a tutto pur di fare carriera anche a spese di innocenti.

Chi si nasconde dietro alle bombe di Ein Tirol? I sospetti vanno in direzione di Peter Kienesberger e dei suoi seguaci. Da Norimberga, gli ex terroristi si proclamano innocenti: “Noi non c'entriamo, gli attentati screditano i fautori dell'autodecisione ed accelerano la chiusura del pacchetto. In definitiva, vanno nella direzione contraria a quella da noi auspicata”.

In carcere finiscono soltanto due terroristi, Frick e Sandrini, ma gli attentati non cessano, ed anzi si fanno sempre più pericolosi: dalle bombe contro i tralicci alle raffiche di mitra contro case e caserme, da operazioni paramilitari complesse come la “notte delle bombe” del 18 maggio 1988 ad attentati puramente dimostrativi, dai cassonetti delle immondizie utilizzati come camere di scoppio alle bombe contro esponenti politici di primo piano. L'opinione pubblica italiana sospetta pesanti connivenze fra i dinamitardi anti-italiani e i settori più oltranzisti dello Heimatbund e degli Schützen; quella di lingua tedesca sottolinea che gli attentati non fanno altro che favorire l'ascesa elettorale del Movimento sociale e ipotizzano che dietro Ein Tirol vi siano in realtà i servizi segreti italiani. La tensione è alle stelle, e lo dimostra il clamoroso forfait del presidente Cossiga, invano atteso per le ferie in forma privata a Merano.

La prima tappa è Postal. I dinamitardi dimostrano ancora una volta di sapere sfruttare le occasioni propizie. E' il 18 aprile del 1986. L'ultima bomba era scoppiata nel novembre di due anni prima. Sul piano politico, il clamoroso successo elettorale del Msi alle comunali del maggio 1985 fa ancora discutere. A Merano sta per essere inaugurato al Teatro Puccini un prestigioso convegno organizzato dal Centro studi ciceroniani, di cui è presidente il ministro degli Esteri, Giulio Andreotti. E Andreotti ci sarà, accompagnato da un ospite ancor più prestigioso; anzi, il più prestigioso: il presidente della repubblica, Francesco Cossiga. I due atterreranno in aereo a Verona e raggiungeranno Merano lungo la strada statale: un percorso obbligato. I controlli sono numerosissimi, eppure i terroristi riescono a colpire. Alle tre del mattino salta in aria l'ufficio postale di Postal, a una decina di chilometri da Merano. La bomba, mezzo etto di dinamite, devasta il locale. Sul muro dell'edificio una scritta in tedesco contro Magnago, poco più in là i dinamitardi hanno tracciato lo slogan Los von Rom sulla banda bianca di una bandiera italiana, esposta sul pennone di un albergo. Poco distante, a Gargazzone, c'è un'altra scritta: Walsche weg, ovvero “Andatevene, italiani bastardi”.

La bomba esplode poche ore prima dell'arrivo di Cossiga e di Andreotti. I due si mostrano imperturbabili, ma il segnale dei dinamitardi è chiaro: "Siamo tornati". Gli inquirenti sembrano orientati a collegare la ripresa del terrore alla clamorosa rivolta autodecisionista degli Schützen, avvenuta durante il congresso della Volkspartei del 12 aprile: qualche testa calda avrebbe deciso di passare all'azione, per sopperire all'immobilismo politico della Svp sul tema del distacco dall'Italia. Come nel 1984, quando a Lana erano saltati in aria due Schützen poche settimane dopo i profetici ammonimenti del loro vicecomandante, Jörg Pircher.

Tre settimane di tregua, poi un'altra bomba. Ancora a Postal. Obiettivo, la stazione ferroviaria della linea che collega Bolzano e Merano: un paio di chili d'esplosivo davanti all'ufficio movimento e alla sala d'attesa, alle tre di notte. E ancora scritte inneggianti all'autodecisione, contro gli italiani e contro il leader dei Verdi Alex Langer. Trema ancora il capostazione Giovanni Condotta, che abita con la famiglia al primo piano dell'edificio preso di mira: il suo appartamento semidistrutto viene dichiarato inabitabile. La stazione si trova proprio a metà strada fra l'ufficio postale e il luogo dell'”autoattentato” di Lana.

Indagini a vuoto, inquietudine sempre più vasta fra la popolazione, dure reazioni politiche: i missini chiedono di sciogliere gli Schützen. Il tre giugno passa per Merano il giro ciclistico d'Italia, alla sua ultima tappa. Con tre telefonate anonime all'Alto Adige, al parroco di Avelengo e al segretario comunale di Merano, vengono fatti ritrovare cento grammi di gelatina di dinamite, imbucati in due cassette postali assieme ad altrettante lettere minatorie: “Abbiamo piazzato in città tre chili di esplosivo sotto l'asfalto, li faremo saltare con un telecomando quando passeranno i corridori”. Minaccia risultata poi inconsistente, ma da non sottovalutare. E la tensione intanto cresce.

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