Sanità

I primari: «I medici se ne vanno, per tenerli vanno pagati di più» 

Enrico Bertelli (Anpo): «Il virus ha di fatto “precipitato” licenziamenti volontari che erano già in gestazione. Va rilevata poi la carenza medica che si determina per la progressiva concorrenza della sanità privata. Serve attenzione»



BOLZANO. Sta succedendo. La fuga dei medici - stanchi, demotivati e stressati - è realtà anche negli ospedali dell’Alto Adige. I dati emersi da una doppia indagine Anaao e Fnomceo dice che negli ultimi 3 anni il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 21 mila specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8.000 camici bianchi per dimissioni volontarie e 12.645 per pensionamenti ecc. Enrico Bertelli - primario di Oculistica al San Maurizio, presidente del sindacato provinciale dei primari Anpo - dice che «la pandemia ha precipitato le cose e oggi per motivare i medici a rimanere nel servizio sanitario nazionale è necessario da una parte valorizzarne il ruolo nel governo clinico, dall’altra retribuirli adeguatamente, in considerazione di competenze e meriti professionali. Attenzione poi a gestire bene la sanità convenzionata».

Ma cosa cercano gli specialisti? «Orari più flessibili - scrive il dossier l’Anaao - maggiore autonomia professionale, minore burocrazia. Un sistema che valorizzi le loro competenze, un lavoro che permetta di dedicare più tempo ai pazienti e poter avere a disposizione più tempo anche per la vita privata, senza sacrificare la famiglia». Nel 2021 la media nazionale dei medici dipendenti che hanno deciso di licenziarsi è stata del 2,9%, percentuale superata dal Trentino Alto Adige che tocca circa il 3.10%.

Edoardo Bonsante - segretario provinciale Anaao - e Ivano Simioni, segretario Bsk/Aaroi dicono che il problema è peggiorato con il Covid: «Chi ha potuto è andato in pensione, sfruttando quota 100 o altro. Chi è lontano dalla pensione ha cominciato a pensare a soluzioni alternative; il lavoro nel privato appare più attrattivo, perché non vi sono servizi di notte, nei festivi e l'orario è più flessibile ed adattabile».

Bertelli è d’accordo con l’analisi dei colleghi. «La carenza medica progressiva di questi anni nelle strutture sanitarie pubbliche è un fenomeno atteso e segnalato da tempo. È legato in primo luogo al graduale raggiungimento dell’età di pensionamento dei cosiddetti baby boomers. A questo naturale fenomeno generazionale si sono aggiunti altri fattori, quasi tutti noti da tempo, che hanno reso particolarmente grave la situazione attuale. Sono tutti elencati con precisione nel dossier Anaao, che personalmente sottoscrivo. La pandemia si è quindi innestata su un processo già in atto e, determinando un ulteriore scadimento della qualità del lavoro, ha verosimilmente precipitato licenziamenti volontari che erano in realtà in gestazione da tempo».

Il dato altoatesino nell’analisi è inserito nel dato regionale, quindi per il primario non se ne comprende bene l’entità ed è difficile commentarlo: «Parrebbe comunque in linea con il dato nazionale».

A Bertelli premono due osservazioni. «Siamo forse l’unico paese in Europa a retribuire i medici specializzandi con una borsa di studio, e non con un contratto a termine. Nella nostra provincia si sta strutturando un corso di specializzazione secondo il “modello austriaco”, che utilizza una forma di contratto a termine più coerente e moderna. A mio avviso un esempio da seguire a livello nazionale, anche perché in linea con i dettami europei. Va rilevata poi la carenza medica che si determina per la progressiva concorrenza della sanità privata, più o meno rilevante a seconda degli ambiti specialistici.

La collaborazione del pubblico con il privato in forma di convenzione è necessaria e utile, ma deve tenere presente il suo obiettivo principale: garantire servizi di qualità al cittadino soprattutto nelle situazioni cliniche più complesse, eseguibili solo in ambiente pubblico. Per motivare i medici a rimanere nel servizio pubblico - ripete e conclude Bertelli - è necessario da una parte valorizzarne il ruolo nel governo clinico della sanità, dall’altra retribuirli adeguatamente, in considerazione di competenze e meriti professionali». V.F.













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