I profughi attori in piazza «Ecco il nostro viaggio»

L’evento dell’associazione Tiatro e i rifugiati dell’Hotel Alpi coinvolge i cittadini Bolzanini entusiasti: «Dobbiamo cominciare a dialogare con queste persone»


di Alessandro Bandinelli ; di Alessandro Bandinelli


BOLZANO. Salgono su allegri da via Argentieri, un bel gruppo di dieci quindici persone, con i djembe e le casse sulle spalle e il sorriso un po' teso di chi, una volta tanto, non ha lo sguardo piegato in basso o chiuso dentro lo schermo del proprio cellulare. Uno dietro l’altro entrano in piazza del Grano, nel cuore l'aspettativa di avere finalmente una relazione con la città che li ospita e che molte volte si gira dall’altra parte, per non vederli. Anche sta volta la paura di essere ignorati è tanta, l'abitudine a essere considerati un problema si legge nei loro sguardi incerti, nei sorrisi di imbarazzo che molti provano appena Sigrid Seberich, coordinatrice del progetto, li invita a prendere posizione nello schema tante volte provato al chiuso dell'Hotel Alpi. È un ragazzo pakistano a rompere il ghiaccio con la piazza, il suo canto intimidito comincia flebile e racconta una storia di addio. A poco a poco i suoi compagni si muovono in una danza circolare, che simula l'inizio della loro fuga, un lungo viaggio cominciato a piedi. I passanti gettano un occhio alcuni si fermano altri passano oltre verso gli scintillanti negozi di via portici, nessuno però può fare a meno di guardare con un attimo di trasalimento la scena che di lì a poco irrompe sul palco: alcuni tra gli attori si scagliano con violenza contro gli altri che soccombono, poi la scena si gela, cala il silenzio e lentamente riprende il cammino. Due ragazze si sono fermate in un angolo della piazza: Nadine Pircher e Janine Plank 36 anni in due, sono coinvolte da quello che stanno vedendo: «Ci siamo fermate perché sentiamo spesso parlare di queste persone come un problema e per una volta invece sono loro a parlare e a raccontare del viaggio che hanno fatto per venire fin qui. È un primo passo per cercare di integrarsi». Intanto la struttura di legno della piazza diventa un barcone sul quale salgono tutti, qualcuno diventa uno scafista, qualcuno muore annegato, qualcun altro prega, intanto un telo rosso, come il sangue di cui si tinge ogni giorno il mediterraneo ricopre la scena. Due donne seguono la pantomima con partecipazione, sono Edith Haspinger e Kathia Nocker due insegnanti di scuola media: «È molto importante - dicono - incontrarsi con queste persone, servirebbero più iniziative, non possiamo continuare a vedere questi ragazzi per strada e passargli accanto come se non esistessero». Loro a scuola hanno fatto degli incontri ne hanno parlato con i loro studenti: «I ragazzi sono molto sensibili e hanno la capacità di capire le cose in modo profondo». Altri si fermano, curiosi e guardano. Una signora anziana «ruba» due sedie dal vicino bar per seguire meglio. Giovanni Melchiorri 81 anni si è fermato perché si è incuriosito della situazione. Si definisce trentino pur essendo venuto a vivere a Bolzano quando aveva sei anni: «Cosa farei io se nel mio paese ci fossero fame e guerra? Semplice me ne andrei dove si sta meglio. Io sono stato immigrato in Germania per dodici anni, a Gelsenkirchen, mica perché mi divertivo. Se dovessi dare un consiglio a quelli che vengono qui: imparate la lingua e i costumi, integratevi». Finalmente, sempre dentro il racconto, l’imbarcazione viene avvistata da una motovedetta della Guardia Costiera. Il viaggio prosegue in pullman, arrivano in città:qui la loro gioia di essere sopravvissuti si esprime cercando di coinvolgere la gente in piazza con musiche e balli, alcuni ricambiano, altri meno.

Poi lo spettacolo finisce, peccato, proprio ora che erano a loro agio. La piazza si svuota, qualcuno non si rassegna e continua suonare. Un vigile si avvicina, chiede se abbiano il permesso: « Sì - dice Sigrid - ce l’abbiamo fino alle tre».

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