I ritratti senza tempo di Magosso 

Tanta gente all’inaugurazione della mostra dedicata al fotografo bolzanino scomparso nel 2014



BOLZANO. Ogni anno, l'Associazione Artisti inaugura l'anno espositivo con una mostra dedicata ad un artista scomparso. Ieri alla Galleria Associazione Artisti in piazza Domenicani 23, Andrea Pozza, presidente dell'Associazione Artisti, insieme ad Ofelia Vergari, compagna di vita di Emo Magosso, scomparso nel dicembre 2014, ha inaugurato la mostra dedicata al compianto fotografo bolzanino intitolata «Antologia del ritratto». La piccola sala era colma di persone, amici e ammiratori dell’opera di Magosso. Si tratta di una ventina di immagini in bianco e nero, la più datata risale al 1968 e le più recenti al 2004. Queste immagini sono tutte raffigurazioni di uomini, donne o bambini. Emo Magosso inizia la sua carriera, che non si limita al territorio di Bolzano, nel 1962 con un corso di fotografia per corrispondenza. Da quel momento scatta l'amore per la fotografia. Una passione che non lo abbandonerà per tutto il corso della sua vita. «Questo è il terzo anno dalla scomparsa di Emo – spiega Andrea Pozza –, abbiamo voluto omaggiarlo. Per me è stato un maestro, sono stato suo allievo e mi ha insegnato cos'è la fotografia. È stato un riferimento. Avendo a disposizione uno spazio piccolo, abbiamo voluto fare una mostra omogenea e abbiamo scelto di esporre i ritratti perché, tra i suoi tantissimi scatti, questi ci sono sembrati i meno conosciuti, soprattutto rispetto alle raffigurazioni dei quartieri, in particolare le Semirurali. Inoltre, siamo l'Associazione degli Artisti, il ritratto è una delle forme più diffuse nell'arte, non solo fotografica».

Guardando i volti immortalati da Emo Magosso, non si può non cogliere la loro naturalezza e spontaneità. Nei sorrisi e negli sguardi c'è umanità: si direbbe che gli occhi dei soggetti sono rivolti ad altri occhi e non ad un obbiettivo.

Ofelia Vergari ricorda la passione del marito: «L’amore di Emo per la macchina fotografica è incominciata negli anni Sessanta. Chiamava le sue macchine “le mie bambine”. Fotografava volti ma anche strade del quartiere, case e qualsiasi piccolo particolare. Gli bastavano pochi dettagli per scattare...». E cogliere l’essenza delle cose che cambiavano. La mostra è aperta dal lunedì al sabato dalle ore 17 alle 19, fino al 27 gennaio.

Inrica Tudor













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