I tortellini? Tradizione “bolzanina” 

Tra Natale e Capodanno si rispolverano le ricette delle “origini” tramandate da generazioni


di Angelo Carrillo


BOLZANO. Anche a quest’anno molte famiglie bolzanine hanno onorato le festività in cucina, spesso, attraverso la preparazione di ricette e prodotti delle proprie origini realizzati in casa.

Che siano agnoli, tortellini, cappelletti, cappellacci, passatelli o tortelli, si rispolverano le ricette tramandate da decenni, dai tempi dell’emigrazione italiana dagli anni ’30 agli anni ’50 del secolo scorso.

Non potevano mancare all’appuntamento come ogni anno le sorelle Luisi, Laura e Luciana, coadiuvate da altri membri della famiglia: Lilly e Micaela, oltre, unico maschio ammesso in cucina, Giulio Righele per i lavori di supporto.

Nella famiglia del consigliere circoscrizionale, la tradizione del tortellino è antica e svolta tutta, o quasi, al femminile. Un rito che si ripete ogni anno prima del Natale e di Capodanno e si traduce nella realizzazione di centinaia di golosi tortellini ripieni con una ricetta tramandata da generazioni. «Per la pasta – spiega Righele - si usa metà farina bianca e metà di semola- e per ogni etto di farina occorre un uovo. Un pizzico di sale e lunga lavorazione manuale per preparare l’impasto prima di stenderlo. Per il ripieno, invece, occorrono 700 grammi di spezzatino di vitello per ogni chilo di farina. A questo si aggiungono 300 grammi di prosciutto crudo e formaggio grana quanto basta».

Dopo aver cotto lo spezzatino in casseruola arricchito dei classici odori della cucina italiana, cipolla carota, sedano, rosmarino e altri ingredienti segreti il tutto va poi tritato e amalgamato insieme aggiustando di sale e pepe. Dopo averlo raffreddato, il composto va distribuito sull’impasto steso il più sottile possibile e poi sezionato con una rotella o il coltello in quadrati di 4 centimetri di lato. A questo punto i quadrati vanno chiusi nella classica forgia a ombelico. Un lavoro di precisione e di abilità. Ma anche di pazienza.

I tortellini vanno quindi cotti in un buon brodo di cappone o di manzo e gallina. Meglio se con un ginocchio di bue a renderlo ancor più saporito. E portati a tavola caldi dopo qualche minuto di riposo si ricorda che vanno mangiati senza alcuna aggiunta di formaggio o altro.

Impossibile altrimenti gustare tutto l’aroma della farcitura che lo rende, dopo tanto lavoro, così speciale e unico. Non solo a casa delle sorelle Luisi e Righele.

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