Il bolzanino che sta cambiando Internet

A Marco Baroni 1,1 milioni dall'Ue per rendere più «intelligenti» i motori di ricerca


Marco Rizza


BOLZANO. Quanto è intelligente Internet? Non moltissimo, se si prende come esempio un motore di ricerca. Provate a inserire le parole «Bolzano», o «testi di Bob Dylan», o «gol di Pippo Inzaghi» e vi compariranno migliaia di pagine nelle quali compaiono in un modo o nell'altro questi argomenti. Ma se provate a inserire una combinazione di parole che abbiano un senso compiuto più complesso, resterete a bocca asciutta. Se inserite «la migliore località sciistica dell'Alto Adige», per dire, non avrete link a qualche paese dell'Alta Badia o della Gardena in base a un giudizio di valore, ma un elenco di pagine in cui quelle parole compaiono in un qualche ordine. Così se inserite «si muove come una libellula» non uscirà un link a Carla Fracci o altre étoile ma decine di pagine in cui compaiono in un qualche ordine «si», «muove», «libellula», ecc. Ecco: nel prossimo futuro potrebbe succedere che Internet risponda anche a queste domande, diventando (o sembrando) più intelligente. Il merito sarà anche di un linguista e ricercatore bolzanino, Marco Baroni, che dopo avere iniziato la carriera accademica a Los Angeles lavora ora al Cimec, il Centro interdipartimentale Mente/Cervello dell'Università di Trento a Rovereto. Baroni - che nei mesi scorsi ha vinto una borsa di studio di Google per una ricerca sul miglioramento dell'efficacia dei motori di ricerca - ha proposto infatti un progetto di ricerca per permettere ai motori di ricerca di «comprendere» anche il significato di intere frasi: e questo progetto quinquennale ha ricevuto ora un contributo di 1,12 milioni di euro dall'Ue nel programma «Erc Starting Grant». Ma di formazione Baroni è linguista, e non informatico: «Infatti non mi metto a fare concorrenza a Facebook...», scherza. Quindi da cosa nasce questo progetto? Sia questo che quello su incarico di Google rientrano nel mio interesse più generale, che è quello di usare le simulazioni computazionali, cioè i computer, per capire meglio come funziona il nostro cervello, e in particolare il linguaggio. Stiamo lavorando sulla semantica nei motori di ricerca: nel progetto per Google si tratta di arricchire le informazioni di un motore di ricerca con l'estrazione automatica di immagini riferite alla parola che si cerca; qui invece l'enfasi è messa sulla combinazione di parole. Per esempio? Per esempio se si mette «la migliore località sciistica dell'Alto Adige» ci interessa che emerga un giudizio di valore, ma la difficoltà non è solo qui perché in effetti si sta già lavorando molto sul «sentiment detection», ovvero su sistemi che riconoscono automaticamente giudizi di valore positivi e negativi sulla parola che si cerca. Ma nel nostro caso la difficoltà è anche abbinare quel giudizio a una località, che stia in Alto Adige e che abbia a che fare con lo sci. Allo stesso modo, se inseriamo «semaforo rosso» e «Armata rossa» oggi un motore di ricerca non capisce che si tratta di due rossi diversi, e che quello del semaforo in realtà è solo convenzionale per dirti di fermarti a un incrocio... Il finanziamento arriverà direttamente a lei? Il progetto è a nome mio ma è stato elaborato insieme ad altri colleghi, tra i quali Raffaella Bernardi (che ha lavorato alla Lub) e Roberto Zamparelli. Il contributo è legato a me ma viene gestito attraverso l'università. A me non ne viene un euro in più: con quei fondi potremo assumere a Rovereto alcuni ricercatori - immagino 4 dottorandi e 3 o 4 post-doc - per lavorare al progetto. I soldi non sono pochi proprio perché con questo programma l'Ue cerca di rendere la ricerca europea competitiva con quella statunitense, e per farlo c'è bisogno di attirare ricercatori da ogni parte del mondo. A proposito di ricerca statunitense: lei ha lavorato a Los Angeles per anni, e lì ha incontrato anche sua moglie. Perché è tornato a Bolzano? Rientro di cervelli? In realtà è stata una scelta contingente, ho vinto un concorso di ricercatore di ruolo a Bologna e ho scelto di tornare indietro. Mia moglie, che studiava linguistica applicata mentre io linguistica teorica, ora insegna lingua giapponese all'università di Bologna. Quando ho avuto l'occasione di trasferirmi al Cimec di Rovereto, che è un posto fantastico in cui lavorare per un linguista computazionale interessato al cervello, ci siamo trasferiti a Bolzano. Che rapporto ha con Bolzano? D'amore e odio, come credo tutti nei confronti della propria città natale. Si vive bene, la natura è splendida, ho tanti amici e la famiglia. D'altra parte è un po' isolata e si prende troppo sul serio con la questione dei gruppi etnici. Se giri un po' il mondo ti accorgi che essere italiano, tedesco o ladino conta pochissimo, nel contesto generale che ci circonda... Sua madre è stata una delle più conosciute (e temute...) professoresse di filosofia di Bolzano. Suo padre è una figura quasi mitica per chi si interessa di letteratura italiana, ed è famoso tra l'altro perché può recitare per ore e commentare la Divina Commedia a memoria. Lei è cresciuto odiando o amando Dante? (ride) Ho avuto la fortuna di avere un padre divertente e quindi con la Commedia ho un rapporto salutare, non la odio e non la conosco a memoria. Di sicuro non ho la memoria di mio papà... I miei sono stati molto bravi a non farmi pressioni sulla scelta dell'università. Ho studiato Lettere per inclinazione personale, e presto mi sono appassionato alla linguistica. Appunto: lei è un linguista ma i suoi ultimi progetti importanti riguardano motori di ricerca. È un «computer addicted», un dipendente da computer? No! Non sono su Facebook, non ho ancora ben capito come funziona Twitter e non conosco l'ultimo sistema operativo Apple... Sono sempre attaccato al computer perché sono «workaholic», dipendente da lavoro. Se c'è una cosa che mi colpisce è che non stacchiamo mai, ovunque ci troviamo. Ma devo anche dire che come ricercatore faccio parte di quel milionesimo di umanità che fa per mestiere quello che sarebbe il suo hobby, quindi non posso lamentarmi.

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