Il corteo sikh colora Oltrisarco 

La processione. In mille a piedi nudi sulle strade per celebrare i 552 anni dalla fondazione della religione sikh con una manifestazione gioiosa Ritratto di una comunità dedita allo studio e al lavoro che ieri è uscita dall’invisibilità per svelare abiti variopinti, canti e arti marziali storiche


Sara Martinello


bolzano. Sono talmente dediti a una vita di lavoro e di fede che durante l’anno nemmeno ci si accorge della loro presenza. Forse anche perché sugli italiani di prima o di seconda generazione si puntano gli occhi solo in occasioni più grevi. Eppure un bolzanino su cento appartiene alla loro comunità, una comunità che una volta l’anno, dal 2017, occupa le strade tra via Trento e la zona industriale con un corteo generoso con chi ci si avvicini. La processione sikh di ieri pomeriggio ha svelato una comunità compatta, silenziosa, urbana anche nella piazza. Mille, millecinquecento persone che riescono a integrarsi giorno per giorno grazie alla trasfusione delle tre regole del sikhismo nella vita quotidiana di una terra completamente diversa dal Punjab, la regione dalla storia millenaria, stretta fra il resto dell’India e Pakistan, dalla quale i sikh provengono.

Medita il nome di Dio.

Dalle casse in testa al corteo, ieri, una musica coinvolgente faceva pensare alle atmosfere bollywoodiane, alla gioia indiana. E invece erano canti religiosi, scanditi dal tamburo e dalle formule del rito pronunciate all’unisono dal corteo. Ognuno ha un ruolo, nella processione organizzata dall’associazione bolzanina Gurdwara Singh Sabha, presieduta da Ravinderjit Singh (anche presidente nazionale di Sikh Gurdwara Parbandhak - Committee Italy), per celebrare la nascita del primo guru sikh, Nanak Dev Ji, il 15 aprile 1469. Dietro il suonatore di tamburo e i bambini che sventolano bandiere italiane e sikh, le automobili addobbate con ghirlande di fiori. Poi le donne – ma anche un bambino – che spazzano l’asfalto. Perché tutti sono scalzi, per onorare la preghiera. Un gruppo di giovanissimi si esibisce in scene di combattimento con la spada, a ricordo dei guerrieri del Punjab, quelli del mito, ma anche quelli che si batterono contro l’invasore britannico. E gli 83 mila caduti tra la prima e la seconda guerra mondiale combattendo tra le fila degli eserciti europei, compreso quello italiano.

Lavora sodo e in modo onesto.

«In casa parliamo punjabi. È naturale imparare l’inglese, per noi è una seconda lingua. E uno dei miei figli frequenta lo scientifico tedesco». La semplicità con cui Ravinderjit Singh descrive la varietà di lingue in cui un sikh cresce è solo il primo indicatore della dedizione allo studio – e poi al lavoro – dettata dalla seconda regola della religione sikh, “Guadagnati da vivere lavorando sodo e in modo onesto”. Da qui deriva il sentimento di appartenenza all’Italia, come spiega il 26enne Gursharan Singh, presidente di Sikhi Sewa Society: «Sono arrivato qui a 12 anni, ho studiato per ottenere un diploma in ambito informatico. Ora lavoro, pago le tasse come tutti, mio figlio è nato qui: è l’Italia il mio paese». Ravinderjit Singh porta l’esempio del Canada, dove il ministro della Difesa nazionale è di etnia sikh.

Condividi il cibo.

Di quello che un sikh guadagna, il 10% va a chi ha meno risorse. Una destinazione delle donazioni – volontarie – è il Punjab, che sebbene sia una delle regioni indiane più fertili e quella meno affamata resta una terra dove poco meno di un bambino su quattro è sottopeso. Passate le persecuzioni religiose, oggi chi arriva in Italia cerca un lavoro, un futuro migliore per i propri figli. Una buona parte delle donazioni va alle associazioni: sono queste a occuparsi della redistribuzione della ricchezza a chi si trova in difficoltà, per esempio attraverso l’elargizione dei pasti. L’insegnamento di Guru Nanak Dev Ji è volto al raggiungimento dell’eguaglianza. E non riconosce il sistema castale indiano. «È una religione aperta al confronto, accogliente nei confronti degli altri credi – spiega Hardeep Singh, studente 19enne –. Certo, è normale che ci siano contraddizioni tra la cultura, la religione sikh e la vita “all’occidentale”. Ma la chiave sta nella sintesi tra le due e nell’accoglienza. Per esempio quella dimostrata dai nostri primi vicini di casa, italiani, quando nel 2001 siamo arrivati qui. E quella che possiamo dare tutti noi». Il corteo abbraccia tutti. Fedeli, curiosi, amici. Alcuni uomini distribuiscono mele, banane, hudja (un tipo di dolce distribuito nelle occasioni religiose), succhi di frutta. Il sindaco Renzo Caramaschi fa notare di aver visto persone pakistane di religione musulmana partecipare in segno di fratellanza. «Come due anni fa ho raccolto più che volentieri l’invito di Ravinderjit Singh. Quella sikh è una comunità integrata, rispettosa sia delle proprie tradizioni sia delle regole del territorio, senza mai creare problemi. E laboriosissima: se non ci fossero i sikh, le stalle della pianura Padana chiuderebbero».













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