Il giornale tribuna del dialogo


Sergio Baraldi


Apprezziamo il gesto compiuto dal presidente Durnwalder di essere venuto alla redazione dell’”Alto Adige” per affrontare un confronto aperto sul tema del rapporto con la comunità italiana. E’ stata una discussione sincera, serrata, perché Durnwalder non ha rinunciato a nessuno dei suoi argomenti e la nostra redazione non ha rinunciato alle sue domande, alle osservazioni, alle critiche, quando lo ritenevamo necessario. Ma era chiara l’intenzione di Durnwalder: la tensione con il mondo italiano era giunta a una soglia rischiosa, ha compreso che era venuto il momento di lanciare un segnale di distensione. Il segnale sembra recepito all’esterno e accolto con soddisfazione da noi. Adesso toccherà alla politica darvi un seguito sul piano delle scelte. Vorrei dire ai lettori che sentiamo di avere svolto con responsabilità il nostro compito: vogliamo essere non solo il giornale di lingua italiana e, quindi, il riferimento sicuro, vicino alla minoranza italiana, ma anche il difensore civico dei cittadini, qualunque lingua parlino, quando sentono che i loro diritti sono stati lesi. Il risultato è stato ottenuto grazie alla partecipazione di centinaia di voi altoatesini che avete espresso le vostre opinioni sul nostro sito o con mail al giornale. Vi fornisco il dato dei contatti Facebook sui nostri articoli legati ai rapporti tra comunità italiana e sudtirolese.

I contatti hanno raggiunto quota 12500. Nello stesso tempo, tanti italiani che vivono altrove e che volevano esprimersi, si sono mobilitati, hanno invaso il nostro sito web. L’opinione pubblica ha voluto fare sentire la propria voce. Ha deciso di mandare un messaggio di solidarietà a tutti noi, che scavalcasse le povere convenienze di un governo che pensa ai propri interessi, e ha utilizzato internet per raggiungerci, le colonne del giornale per riuscirvi. Vorrei ringraziare anche quei lettori tedeschi che ci hanno fatto conoscere le loro opinioni, spesso (ma non sempre) difformi dalle nostre. A qualcuno può dare fastidio che i cittadini, italiani (residenti e non) e tedeschi, diventino i protagonisti del dibattito, anche quando scrivono con amarezza o rabbia. Non al nostro giornale, che ritiene suo dovere professionale assicurare il diritto di tribuna e di partecipazione. Per noi della redazione, i cittadini contano più della politica. Difatti, è dalla vostra voce che sono arrivate le migliori indicazioni per tentare di uscire dal vicolo cieco in cui la società dell’Alto Adige rischiava di finire.

Ed è per avere ascoltato la vostra voce che il presidente Durnwalder si è presentato al giornale, dimostrando nei fatti che a quello status di “presidente di tutti” ci teneva, e che lo amareggiava sentirsi dire, da noi e da voi, che ci era parso che non assicurasse l’imparzialità delle istituzioni, che dopo il rimprovero del presidente Napolitano fosse dimezzato nella sua legittimità. In una democrazia moderna, il principe che detiene lo scettro sono i cittadini. E oggi il “sovrano” non può essere consultato solo al momento delle elezioni. Ce lo ha insegnato, alcuni anni fa, lo studioso francese Bernard Marin, docente a New York e in Francia, con un libro fondamentale,”Principi del governo rappresentativo”, nel quale teorizzò per primo che il ruolo dell’opinione pubblica e l’arena mediatica hanno modificato funzionamento, spazio, importanza della discussione pubblica. Marin notava che si riduce la partecipazione istituzionale, ma è cresciuta la partecipazione non convenzionale, “creativa”, individuale, che ha fatto nascere esperienze di “governance” territoriali più negoziate e condivise.

Marin per primo parlò di “democrazia del pubblico”. Si deve dare atto a Durnwalder di avere compreso che un legame di fiducia era logorato, e occorreva ripararlo, parlando con voi. Se il dialogo sta, faticosamente, riannodando i suoi fili (e noi speriamo che dia risultati), è perché la linea del rispetto che abbiamo affermato, si è imposta. Così come l’Italia deve guardare con attenzione e tolleranza, come ci spiega il prof. Palermo nel suo bell’articolo oggi, verso la minoranza di lingua tedesca, allo stesso modo, qui sul territorio, la maggioranza tedesca deve usare la medesima precauzione con le minoranze, sia italiana sia ladina. Oggi abbiamo compreso che l’analisi che abbiamo offerto ai nostri lettori era corretta: Durnwalder aveva avvertito il rischio della competitività elettorale della destra tedesca, in un momento in cui la partita aperta su monumenti, toponomastica, festa dell’Unità d’Italia, anno hoferiano, stava prefigurando un ingorgo identitario. Con il suo fiuto politico, Durnwalder aveva ritenuto che fosse necessario “coprirsi” su quel fianco.

Per farlo, ha attinto in modo sbrigativo al bagaglio simbolico e valoriale della sua gente: l’identità. Con tutti i rischi che questo comporta. Perché l’identità si configura come la strategia difensiva più alta che l’animo umano possa elaborare nei confronti degli “altri” o della competizione. L’identità è indiscutibile. Essa avanza non solo una hegeliana domanda di richiesta di riconoscimento, ma qualcosa di più: una richiesta per la quale si esige che non vi sia lotta, non vi sia discussione. L’identità pretende che sia riconosciuta in quanto tale, e basta. Né si può pensare che l’identità abbia un termine. Essa è talmente collegata alla sostanza del “noi” che si vuole preservare, che un qualsiasi dubbio può generare inquietudine nel “noi” che si difende. Il quale avverte la minaccia del non riconoscimento. E’ questo circuito che Durnwalder ha messo in movimento con le sue dichiarazioni, che avevano lo scopo di segnare il confine alla sua destra, ma che hanno avuto un pesante contrappeso sul lato degli “altri”, gli italiani.

La mancanza di rispetto, infatti, non solo viola lo spirito dello Statuto, ma rischia di spingere anche la comunità italiana a vivere il “noi” come una minaccia insopportabile. E la storia ci insegna che i “noi” ossessionati dall’identità sono tanto ciechi quanto fragili. Non c’è trattativa quando ciascuno deve difendere la propria integrità. Partendo dalla difesa del proprio mondo e del proprio sé, l’identità può diventare una strategia d’attacco. In effetti, Durnwalder era passato all’attacco, fiutando le rischiose manovre alla sua destra, senza calcolare la reazione a catena che innescava. E che, forse, l’ha sorpreso. Oggi sembra tornare in campo la trattativa e Durnwalder ha dato il buon esempio. E’ giusto che i partiti italiani facciano la loro parte per chiudere nel modo più equo la complessa partita del Novecento. I problemi della società del 2011 sono quelli di affrontare la sfida della modernizzazione, di garantire una crescita diffusa, di costruire una scuola plurilingue, di avere una sanità efficiente ma dai costi sotto controllo, di dotarsi delle infrastrutture necessarie ai cittadini e al sistema produttivo, di fornire all’Europa un modello sociale che sappia progettare il futuro senza cancellare le differenze, ma comprendendole e trasformandole in una risorsa. Per una Grande Riforma dell’Alto Adige occorre una società coesa, non frantumata, pervasa da rivendicazioni identitarie, sempre sotto il ricatto della paura. Forse tanti cittadini tedeschi devono convincersi di non avere più nemici, e leggere gli anni di Magnago e della costruzione dell’autonomia, con le incomprensioni e le durezze che ci furono, come un cammino ormai alle spalle. Il confine è caduto.

Questa incertezza si può leggere oggi nel partito di raccolta immobilizzato al bivio tra la sua storia di partito etnico e la sfida di diventare un moderno partito territoriale, vale a dire un partito che non rinuncia alle sue origini, ma che sa assumere come propria la responsabilità di tutta la società. Quindi, anche degli “altri”. E’ questa la funzione del partito sistema. La deputata Thaler, con la sua idea di formare un gruppo che appoggi Berlusconi, nel momento in cui questo governo subisce il maggiore discredito internazionale, sembra voler perpetuare il passato meno presentabile di una Svp disponibile a ogni gioco pur di ottenere qualche vantaggio. Ma nel passato era vero che la popolazione tedesca aveva davanti un compito difficile. Oggi tutto è cambiato, e questo passaggio si riduce a un mercato dei furbi. A sua volta, la società italiana deve comprendere meglio la storia dei nostri concittadini tedeschi, deve capirne la lingua, attrezzarsi per partecipare a pieno titolo alla nuova fase dell’autonomia che, prima o poi, verrà. E’ positivo che i partiti italiani cerchino una convergenza, come mai era successo, su questioni d’interesse generale. A mio avviso, sbaglia chi suggerisce la nascita di una Svp italiana, asse nazionale etnico. Al contrario, è bene che il mondo italiano mantenga le sue differenze interne, che vi sia competizione tra schieramenti e partiti. Ma ci sono regole, valori sui quali è giusto costruire un consenso ampio, incluso il gruppo tedesco. Ci sono segnali che non vanno trascurati. Come abbiamo già scritto, sulla toponomastica si sono fatti passi avanti. Sui monumenti si tratta di definire le soluzioni, ma la concertazione sembra larga.

Tra Durnwalder e Napolitano è avvenuto un chiarimento che giova a tutti. La sfida riguarda un progetto di modernizzazione e cambiamento valido per tutta la società. Da questo punto di vista, gli italiani possono assumere un ruolo importante se comprendono che il rilancio di Bolzano come capitale è un’occasione per tutto il territorio e, insieme, la possibilità di diventare protagonisti, insieme ai tedeschi, nella preparazione del futuro. Innovazione, cultura, infrastrutture, apertura di un sistema statico sono le carte da giocare. Anche per gli italiani i confini sono caduti. E’ venuto il tempo di scommettere sull’autonomia di tutti. Proprio in questa vicenda, la sorpresa è stata l’adesione della società italiana a una costituzione che, in passato, non aveva voluto né capito. Oggi la percezione sembra diversa, i cittadini ne hanno colto le opportunità. Wittgenstein diceva che non esiste una via maestra, ma solo vie laterali. Per una volta, qui, abbiamo seguito con coraggio e fiducia la via maestra.
Ci siamo riusciti perché voi ci avete creduto.

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